LETTERA APERTA
A
SUA ECCELLENZA ARCIVESCOVO ROCCO TALUCCI
AI PARROCI DELLE PARROCCHIE VEGLIESI
AI RESPONSABILI DEI GRUPPI ECCLESIALI
A.
Greco - S. Aprile * 19
gennaio 2006
*
(amministrazione-politica)*
Caratteri grandi-medi-normali *
Accessibilità
LETTERA
APERTA
A
Sua Eccellenza Arcivescovo
Rocco Talucci
Ai Parroci delle Parrocchie Vegliesi
Ai Responsabili dei gruppi ecclesiali
Siamo semplici laici
credenti, che conoscono da molti anni la storia
della comunità vegliese, vivono in essa, con molti limiti
personali, l’esperienza comunitaria della fede in Cristo e
svolgono nella società civile il ruolo di consiglieri
comunali.
In occasione della prima
Visita pastorale di mons. Rocco Talucci, dopo
cinque anni di guida diocesana, sentiamo il dovere di porre alcune
riflessioni, brevi e concrete, sul rapporto tra
comunità ecclesiale vegliese e istituzione pubblica
amministrativa in cui siamo stati eletti.
Questi cinque anni sono
stati caratterizzati
dall’avvicendarsi problematico di due Consigli Comunali e di
due Amministrazioni, dal radicarsi nella vita religiosa del paese della
salutare istituzione della terza Parrocchia (S. Antonio) e, dopo la
scomparsa di don Vito Frassanito, don Giovanni Tondo, don Giovanni
Milanese e don Giovanni Luperto, da un ricambio delle guide pastorali
con inevitabili conseguenze sia sul piano religioso che civile.
Possiamo affermare con
certezza che, in questi anni, sul piano dei
principi, risulta acquisita, anche dalla coscienza popolare,
l’autonomia organizzativa della comunità
ecclesiale, la laicità dell’Ente Comune e la
reciproca collaborazione per il bene di tutta la comunità
locale.
Ma non è sui
principi che vogliamo riflettere. Non
intendiamo nemmeno mettere sotto la lente di ingrandimento fatti
specifici né tanto meno ci sentiamo di aver titolo a fare
esami sull’attività pastorale o politica di
persone o gruppi.
Nostra intenzione
è porre qualche problema perché
la Visita pastorale non sia solo un fatto burocratico e
l’incontro con gli amministratori, previsto dal programma,
sia una tappa essenziale per la crescita di tutto il paese.
1. Il
contesto nazionale della Visita
pastorale.
A
quarant’anni del Concilio
Vaticano II e a oltre dieci dalla fine della Democrazia Cristiana,
sembra prendere corpo una nuova inedita modalità con la
quale la Chiesa italiana intende svolgere la sua presenza
nell’ambito della società.
Tutto
l’insegnamento di papa
Benedetto XVI e la conseguente azione pastorale del presidente della
CEI, card. Ruini, si sforzano di argomentare il dovere di
un’azione tangibile ed esplicita, da parte della Chiesa, per
offrire allo sbandamento dell’uomo contemporaneo e alla crisi
della modernità occidentale un approdo stabile nel sistema
di valori racchiusi nello scrigno del cattolicesimo. A fronte di una
società italiana attraversata dall’incertezza e
dalla fragilità, dai rischi di una crisi, che è
di valori e non solo economica, la Chiesa rivendica con determinazione
il diritto-dovere di esercitare una presenza che incida concretamente
sulle decisioni, influenzi le scelte, condizioni la rotta.
Si
tratta di un disegno di vastissima
portata che fa leva sulla forza identitaria del cattolicesimo piuttosto
che sulla sua capacità di apertura e di contaminazione.
Pur
prendendo atto di una simile scelta
pastorale, discutibile ma molto chiara, non è possibile
sfuggire alla complessità e profondità dei temi
che essa suscita. E verso di essa non sono compatibili né
atteggiamenti di intolleranza né atteggiamenti di banale
adulazione.
Anche
nel contesto locale di un piccolo
comune, quale è Veglie, in cui le grandi svolte vengono
percepite sempre con ritardo e in cui le novità vengono
sempre importate, saremo chiamati a discutere a lungo delle conseguenze
di questo disegno pastorale, sia sul piano civile che religioso.
2. Tre
spunti di riflessione locale
a) Il
danno dello steccato tra laici e
cattolici
Veglie
ha vissuto negli anni
’50 e inizi degli anni ’60 in modo drammatico
l’esperienza di uno steccato, tra laici e cattolici, nella
vita pubblica. In quegli anni furono le condizioni socio-economiche di
miseria e di povertà a creare uno scontro tra chiesa locale
e forze politico-istituzionali.
Oggi,
invece, paradossalmente, lo
steccato può essere un vuoto o un baratro tra le due
realtà, se guardiamo alle grandi sfide della
realtà locale: disoccupazione, nuove povertà,
corruzione, aborto, crisi familiari, ecc. La Chiesa locale appare
chiusa nel suo ruolo di cura dell’aspetto spirituale, inteso
come il modo con cui ogni uomo vive il rapporto con la fede, il Comune
chiuso nel suo ruolo di cura dell’aspetto politico, inteso
come l’organizzazione dei servizi al cittadino. Nel rapporto
reciproco, sulle grandi questioni, le due realtà appaiono
insignificanti e marginali.
E’ un bene, da tutelare ad
ogni costo, che Chiesa locale e Comune rimangano autonome e distinte e
che “nessuna di esse deleghi o attribuisca poteri
all’altra o, per contro, divenga strumento
dell’altra” (Giuseppe Dossetti). Ma distinzione non
può significare separazione.
b) Il
danno delle strumentalizzazioni
Tracciare nitidamente una linea di
confine tra le due sfere e indicare con precisione che cosa significa
collaborazione tra Comune e Chiesa locale non è facile.
Anzi, nel vuoto di una autentica collaborazione appaiono sempre
più evidenti le miserie dei suoi surrogati o, per meglio
dire, delle reciproche strumentalizzazioni o invadenze: da una parte
è sempre più evidente, anche a Veglie, la cinica
versione dell’ateismo devoto, cioè di coloro che
non credono a nulla ma che si servono della realtà
ecclesiale per interessi partitici o elettorali e dall’altra,
non meno evidente, appare la furba versione del clericalismo
confusionario, cioè di qualche guida pastorale che, per
protagonismo o anche in buona fede, è tentato di trasformare
l’Ente locale in sacrestia e il Sindaco in chierichetto.
Queste
invadenze fanno aumentare i
pregiudizi, soprattutto, nei confronti di chi guida la
comunità religiosa e generano, tra Chiesa locale e Comune,
le dannose versioni di un rapporto spurio che vanno
dall’intolleranza alla banalità fino ad un certo
tipo di conformismo, mai sincero ed efficace.
c)
L’impegno per una
laicità libera, responsabile ed adulta
Ispirandosi, invece, allo
stile di un rispetto e di una collaborazione
alta tra comunità ecclesiale ed Ente locale non è
faticoso, soprattutto oggi che siamo più liberi dai retaggi
delle rigidità ideologiche, riconoscere da parte
dell’Ente locale il valore sociale di alcune presenze
strutturate della comunità ecclesiale (Azione Cattolica,
Comunità Neocatecumenali, AGESCI, ecc.) nel tessuto del
nostro inadeguato e precario stato sociale. L’asilo
Verrienti, i due oratori (SS. Rosario e Sant’Antonio), le
Caritas parrocchiali, il volontariato cattolico, ecc. costituiscono
risorse persino pubbliche, al pari delle altre numerose forme di
organizzazione sociale. Ma una sana collaborazione tra la
realtà ecclesiale e quella politica si difende educando
soprattutto la comunità ecclesiale a non scivolare dalla
categoria del diritto riconosciuto alla categoria del favore
discrezionale, se non personale. E di certo il carattere religioso di
qualche iniziativa non può giustificare elargizioni
pubbliche senza il rispetto delle regole procedurali del caso.
La sana collaborazione
richiede, inoltre, che le tre parrocchie, pur
nella diversità dei bisogni, abbiano un unico stile nel
rapporto con l’Ente locale e che questi rifiuti i rapporti
privilegiati con una di esse, come, purtroppo, è successo
con la visita agli anziani ammalati, di una sola parrocchia, da parte
di un Parroco e del Sindaco, nelle feste natalizie Natale 2005.
Riteniamo, infine, che,
se Comune e Chiese locali intendono affrontare
insieme in modo autorevole le gravi sfide poste dalla
modernità, hanno una priorità su cui convergere:
lavorare per la formazione di una classe dirigente locale consapevole e
cosciente del proprio ruolo. La formazione alla politica e al bene
comune, che oggi nessuno cura, è il primo terreno in cui,
insieme, istituzioni civili e religiose possono seminare per costruire
il futuro. Questo può apparire un compito solo
dell’istituzione civile, ma non è così.
L’esperienza, molto triste anche a Veglie, delle enormi
difficoltà nell’individuare e coinvolgere laici
cattolici preparati nella vita amministrativa, deve spingere la
gerarchia locale a liberarsi dalla tentazione di pensare che la
complessità di questo tempo si possa risolvere con la
devozione e la precettistica piuttosto che con la fatica della
costruzione di coscienze critiche e mature.
La Visita pastorale del
Vescovo è icona della visita di
Cristo, prima di tutto, alle singole persone che compongono la
comunità religiosa vegliese. Da laici credenti, impegnati in
politica, auspichiamo che la Visita del Vescovo, anche a coloro che
sono impegnati nelle strutture civili e laiche, non sia solo un gesto
di cortesia, pur esso apprezzabile, ma sia l’icona del Cristo
che visita il suo popolo per richiamarlo con la franchezza, per
custodirlo con l’insegnamento e per accompagnarlo con la
carità e la profezia del pastore buono.
Per un gruppo di
cittadini impegnati in politica
Alessandro
Aprile
Antonio Greco