che ne sara' del cristianesimo?
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a cura di: Veglieonline.it, 31 gennaio 2004 * "Scuola-Cultura"
Seguo con interesse i giornali on-line locali. Trovo stimolanti le riflessioni e, anche, le polemiche riguardi la vita ecclesiastica e religiosa locale. Mi permetto di suggerire, perché non mia, la lettura di questa lettera. Può essere utile per chiarire molte idee a laici e preti. Antonio Greco, un credente nel Vangelo CHE NE SARA’ DEL CRISTIANESIMO? Cari amici, ospiti e voi che ci seguite da lontano, diversi eventi di questi ultimi mesi hanno acuito interrogativi che da tempo abitano il nostro cuore e la nostra mente. Che ne è di Gesù Cristo ? Che ne è della fede e della testimonianza cristiana nelle nostre società, un tempo chiamate "cristiane" e ancora oggi intessute di codici culturali radica ti nel cristianesimo? Che ne sarà del cristianesimo ? Se in giorni ancora recenti qualcuno poteva temere una scomparsa pura e semplice del fenomeno cristiano, come già avvenuto in certe regioni del mondo, ridotto a sparuta minoranza di piccole comunità e magari ammirato per le vestigia artistiche lasciate in eredità; se altri presagivano una sua dissoluzione, uno sciogliersi indolore, e forse anche arricchente, dei valori cristiani all'in- terno del più vasto patrimonio dell'umanità; se altri ancora si immaginavano -o si auguravano -una chiesa ancora capace di conciliare gli opposti, custodendo nel suo seno tendenze non solo diverse ma a volte perfino contraddittorie, oggi ci pare che la tentazione più seria che colpisce i testimoni del Signore Gesù, fattosi uomo come noi, morto e risorto per ristabilire la piena comunione dell'umanità e del cosmo intero con Dio, venga dall'irresistibile fascino della religione civile. È il fascino di un cristianesimo visto innanzitutto come cultura di un popolo, ad- dirittura di un'identità nazionale, che assicura il ricompattarsi della società e che si ammanta di evidenti risultati culturali: una presenza cristiana che inevitabilmente apparirà sempre più come declinazione dell'equazione "cristianesimo uguale occidente". Va riconosciuto che oggi la politica avverte il bisogno di utilizzare il codice religioso e pertanto è pronta al riconoscimento dell'utilità sociale della religione. Ma è un atteggiamento estraneo in radice alla tradizione cattolica: si configura piuttosto come la deriva di un certo protestantesimo settario e fondamentalista (non il protestantesimo della Riforma!) -curiosamente, però, annovera tra i suoi sostenitori quanti accusano il Vaticano II di aver "protestantizzato" la chiesa! -eppure viene incoraggiato, forse per nostalgia di una riedizione del mito della cristianità, e salutato come necessario per la nostra società sempre più frammentata e smarrita. C'è una richiesta -soprattutto da parte di quanti, politici o intellettuali, in massima parte estranei alla vita cristiana, ritengono di dover guidare le trasformazioni -di poter disporre dei cosiddetti valori cristiani come di una sorta di "vaso degli dèi" cui at- tingere per mantenere in buona salute la società, per darle unità di fronte ai pericoli esterni, per fornire coesione e ragioni trascendenti di fronte al nemico che si profila all'orizzonte o che viene creato! E così la chiesa viene ridotta a una potente lobby etico-sociale. E l'invito rivoltole in questo senso da intellettuali non cristiani trova purtroppo accoglienza favorevole anche da parte di autorevoli ecclesiastici che desiderano apprestare una chiesa forte, massicciamente visibile e presente negli spazi la- sciati vuoti dal crollo delle ideologie, una chiesa che sappia essere forza di pressione in società dove pure è diventata numericamente minoranza. Non dicono nulla in questo senso i risultati di una seria inchiesta sociologica da cui emerge che 1'80% degli italiani si dichiara cattolico e solo il 40% afferma di credere nella risurrezione di Gesù Cristo? Così la chiesa è applaudita, riconosciuta e, a volte, perfino ricompensata da Cesare per il bene che fa, per il cemento etico che appresta a una società disgregata, ma la comunità dei discepoli di Gesù resta incapace di essere profezia e si identifica sempre più con l'occidente ricco e potente. Cedere a questa tentazione significherebbe svuotare la debolezza e la povertà della "parola della croce", svuotare di ogni forza che viene da Dio l'annuncio dell'evangelo. Purtroppo, come denunciava alla vigilia della sua morte Giuseppe Dossetti, oggi sono aumentati "quanti pensano che la fede non possa sostenersi senza l'appoggio dei poteri, senza politiche culturali, senza organicità sociale che la presidi e la difenda", senza, insomma, diventare civiltà cristiana, "religione civile". Che tristezza, nei giorni scorsi, la misère del dibattito sul crocifisso ridotto a simbolo ed emblema della cultura nazionale; che tristezza la collusione tra religione e nazione durante il lutto e il dolore per le povere vittime italiane barbaramente uccise in Iraq. Sembra che molti cristiani non sappiano essere cittadini leali e responsabili nella polis e nel con tempo appartenenti a quella patria che è nei cieli (FiI3,20), che non sappiano dare a Cesare quel che è di Cesare e lo vogliano dare a Dio. È questo l'ineluttabile futuro che attende il cristianesimo? Crediamo stia a ciascuno di noi rispondere aprendo altre prospettive. Certo, qualcosa conosce inesorabilmente la fine, qualcosa muore e non sappiamo fin dove questa morte scende in noi: è la fine di un sistema religioso, legato all'età moderna dell'occidente da un rapporto di interdipendenza. Ma con questa morte si arriva come a un bivio e la strada che ci attende dipende in massima parte da noi. Allora l'interrogativo brutale -"Cristo ha un futuro ? " -rimane, ma assume i connotati di una domanda ricca di speranza: in questo luogo di un nuovo inizio, in questa sorta di ground zero, l'evangelo, secondo le parole del cristiano Maurice Bellet, "può davvero apparire come evangelo, cioè la parola inaugurale che apre lo spazio di vita? Il paradosso è grande, perché l'evangelo è vecchio... Ma forse il tempo delle cose capitali non è retto dalla cronologia; forse la ripetizione può essere ripetizione dell'inaudito, così come, dopo tutto, ogni nascita di un uomo è una ripetizione banale e, ogni volta, l'inaudito". Restiamo convinti che un cristianesimo che sappia rinunciare a ogni forma di potere diverso dalla Parola disarmata, che faccia prevalere la compassione sulla legge, che riesca a parlare al cuore di ogni uomo facendogli intravedere che la morte non è l'ultima parola, potrà essere un canto, una voce sempre più ascoltata. Ma questo richiede che i cristiani si esercitino a essere quelle "sentinelle della libertà, della giusti- zia e della pace" che Giovanni Paolo II ha più volte evocato nella sua chiaroveggenza sul futuro del cristianesimo nel mondo. Certo, non va percorsa la strada di quanti, nella loro fede incerta, si aggrappano a false certezze, ricercano un 'identità cristiana contro altre vie religiose, sperano in forti mobilitazioni e preferiscono annunciare una babele prossima ventura dovuta all'incontro e al dialogo delle religioni, piuttosto che operare affinché ci sia una nuova pentecoste in cui lo Spirito santo porta comunione tra lingue e culture diverse. Sì, in un mondo e in una società in cui, quando si ripete che "nulla sarà più come prima" e che si vedranno "scenari mai visti", sempre ci si riferisce a eventi tragici, a tragedie immani, a un dispiegarsi di forze di morte, forse c'è ancora posto per un cristianesimo che sappia ripresentare l'inaudito di una buona notizia, l'inatteso ritrovamento di un senso non solo per le singole vite ma per la stessa convivenza civile, forse c'è ancora spazio per cristiani liberati dalle paure e aperti a una speranza per tutti. Perché il Signore è venuto, viene e tornerà per tutti! I fratelli e le sorelle di Bose Base, 4 dicembre 2003 |