A LUCIANO LAMA
G.
Caputo
* 30 maggio 2006
*
(articoli)*
Caratteri grandi-medi-normali *
Accessibilità
A Luciano Lama
A dieci anni dalla scomparsa di Luciano Lama mi preme ricordarlo, ripercorrendo
le vicende della sua esistenza di uomo, impegnato nel sindacato e nella
politica, affinché politica e sindacato fossero strumenti per affrontare e
risolvere i problemi della gente e mai spazi autoreferenziali fine a se stessi o
peggio ancora privilegio di pochi.
Nato nel 1921 a Gambettola, in provincia di Cesena, nel 1947 Luciano Lama è uno
dei vicesegretari del leader storico del sindacato, Giuseppe Di Vittorio, che
individua nel giovane romagnolo il proprio pupillo e futuro erede.
Sono anni difficili, l’unità sindacale faticosamente costruita durante i mesi di
lotta partigiana si è sciolta, quando nell’estate ’48, dopo l’attentato al
leader di Botteghe Oscure Palmiro Togliatti, i democristiani, i
socialdemocratici e i repubblicani hanno abbandonato il sindacato unitario per
dare vita a proprie organizzazioni autonome, rispettivamente la Cisl da parte
dei cattolici e la Uil da parte dei saragattiani e dei repubblicani, entrambe
assestate su posizioni filogovernative in opposizione alla Cgil, composta da
comunisti e socialisti.
Bisognerà attendere più di quindici anni, e sarà L. Lama nel 1962, divenuto
segretario generale della Cgil, a riproporre la prospettiva di un’unità dal
basso di tutti i lavoratori e delle loro rappresentanze.
La nuova visione del sindacato, che L.Lama mette in campo, è a favore di un
modello sociale con un forte welfare state, ma non assistenzialista, egli sogna
una società in cui prevalgano i diritti ed i doveri dei cittadini e dei
lavoratori e non i favori per clienti e amici. Molti anni prima di Tangentopoli,
uomini come Lama e Berlinguer denunciavano, inascoltati e beffeggiati da buona
parte della classe politica, imprenditoriale, degli opinion makers e anche del
corpo elettorale, le disfunzioni e le corruzioni che avvenivano e purtroppo
continuano ad avvenire in Italia, si tratta di piaghe profonde che minacciano le
stesse radici della nostra democrazia, manipolata dai demagoghi, demolitori
delle regole istituzionali e della convivenza civile.
Nel 1975, Lama firma con il presidente della Confindustria Gianni Agnelli
l’accordo sul punto unico di contingenza della scala mobile. Il 17 febbraio 1977
è volgarmente insultato da facinorosi all’università di Roma: incidenti e
tumulti furono organizzati da chi non voleva che l’uomo del sindacato parlasse
ai giovani e agli studenti per indicare loro la via unitaria e democratica per
il progresso civile del nostro paese.
Il tutto orchestrato da una minoranza pseudorivoluzionaria, poi passata
dall’estremismo radicale, contro il sindacato e, contro soprattutto, il Pci, al
sostegno alla nuova destra berlusconiana anni ’90, dopo un soggiorno nel mondo
del craxismo. L’episodio segna gli inizi del terrorismo armato, che raggiungerà
il culmine nel 1978, con il rapimento e l’omicidio dell’on. Aldo Moro.
Anche allora Lama e il sindacato furono in prima linea nella difesa del Paese,
come lo erano stati, qualche anno prima, in difesa della democrazia repubblicana
a Brescia, a Milano, città martirizzate dalle note stragi, e a Reggio Calabria
contro le violenze separatiste della rivolta fascista dei “Boia chi molla”.
Negli anni ’80 terminava l’emergenza terrorismo e anche l’azione unitaria del
sindacato subiva una grave rottura. A favorirla, nel 1984, fu l’allora
Presidente del Consiglio dei Ministri on. Bettino Craxi, che decideva di
tagliare per decreto (decreto di San Valentino) 4 punti di scala mobile. Il Pci
si oppose duramente e arrivò a promuovere un referendum per abrogare tale misura
di legge. La consultazione si tenne l’anno successivo, ma la maggioranza degli
Italiani votò contro l’abrogazione del taglio e a favore del mantenimento del
decreto e del governo Craxi…! Lama era stato contrario a tenere il referendum in
nome dell’unità sindacale; Cisl, Uil e socialisti della Cgil appoggiavano il
governo e il decreto, Pci e maggioranza comunista della Cgil erano invece
contrari.
Nello stesso anno muore il segretario comunista Enrico Berlinguer e molti
pensano a L. Lama come nuovo leader di Botteghe Oscure. Sarà invece eletto
Alessandro Natta. L. Lama aveva sia le capacità, sia il carisma per succedere a
Berlinguer, ma era ritenuto troppo “debole” con il Psi di Craxi, con cui, dalla
politica economica alla collocazione politica e strategica, senza trascurare la
questione morale, il defunto segretario comunista ed il Pci erano in rotta di
collisione.
Nel 1986 abbandona il sindacato e l’anno successivo è eletto al Senato nelle
liste comuniste.
Torna così in un’assemblea legislativa dopo 17 anni; si era, infatti, dimesso
nel 1969 in nome dell’incompatibilità tra la carica parlamentare e l’azione
sindacale.
Nel Pci, dopo la scomparsa di Amendola, sarà, con Giorgio Napolitano, Emanuele
Macaluso e Gerardo Chiaromonte, uno dei massimi esponenti dell’ala riformista.
Nel 1994 la sua esperienza politica nazionale si conclude con la rinuncia ad una
nuova candidatura.
Venerdì 31 maggio 1996, poche settimane dopo la vittoria, per la prima volta,
del centrosinistra alle elezioni legislative tenutesi il 21 aprile, L. Lama
muore nella sua abitazione romana. A dieci anni di distanza dalla morte, il
centro sinistra ritorna al governo del paese.
Penso di aver ricostruito in maniera corretta le vicende che, intrecciandosi con
la storia turbolenta dell’Italia, hanno segnato la vita di una grande figura
sindacale e politica del secolo scorso, senza tuttavia essere riuscito ad
offrire l’ampiezza e la complessità della visione della vita e della politica,
che Luciano Lama ebbe, come partecipazione e impegno sociale, senza essere
riuscito a dimostrare, in un paese che, per la sua metà, considera ancora oggi
il sindacato un nemico, da tenere diviso e separato, l’importanza e il ruolo che
ebbe L. Lama nella costruzione dell’unità sindacale. Ringraziando Iddio, benché
alcuni, sempre più numerosi, di questi tempi, almeno così appaiono per le loro
gazzarre, siano scandalizzati, oggi uomini del sindacato sono ai massimi vertici
istituzionali. Da parte mia, ho cercato di dimostrare il ruolo svolto dal
sindacato e da uomini della levatura morale di L. Lama a difesa della democrazia
e dei diritti dei lavoratori, nella convinzione che queste conquiste vadano
difese, soprattutto oggi, dagli attacchi violenti ed aggressivi dei “CAIMANI” di
turno, di cui questo Paese non riesce a liberarsi. Qualora questo obiettivo non
fosse stato raggiunto, me ne scuso con i più giovani, e li invito ad avvicinarsi
ai protagonisti della Storia dell’Italia contemporanea, per conoscerli meglio e,
attraverso i loro percorsi, riappropriarsi della memoria collettiva del proprio
popolo.
Giovanni Caputo