Quante liste ci saranno a Veglie per le imminenti elezioni comunali?

di Nicola Gennachi.

Si dice tre, si dice quattro, qualcuno afferma, con poca credibilità, che ne avremo un numero ancora più elevato, ma certamente troppe per una società che si muove nell’ordine dei grandi numeri, certamente troppe per un mercato che si muove non più sull’ordine di milioni ma di miliardi di miliardi di capitali, un po’ troppe per essere in sintonia col fenomeno della globalizzazione di cui noi siamo artefici e testimoni. Non voglio affermare che si debba arrivare al partito unico, qualcosa che certamente sarebbe anacronistico e che personalmente rifiuto con determinazione, ma  voglio dire che bisogna attivare l’intelligenza necessaria per gestire le numerose diversità partitiche, segno di ricchezza e democrazia, in raggruppamenti meno numerosi; due come si è tentato di fare, con scarsi risultati, in questi anni. La caratteristica di gruppi così formati dovrebbe essere data da una componente di operatività fortemente concreta.

L’esperienza che il nostro paese si sta accingendo a vivere ci porterà verso una forma di democrazia paradossa, dove i meno, legalmente eletti, amministreranno i più.

Se sarà vero, come sembra, volendo suddividere i circa ottomila voti dei votanti fra le ipotetiche quattro liste in modo più o meno equo, succederà che i circa quattordicimila  vegliesi saranno amministrati, per una corretta applicazione delle normativa elettorale, dall’appena abbondante 25% dei voti; percentuale ben al disotto di quella maggioranza, anche sparuta, che norma democratica vorrebbe che amministrasse.

E’ un esempio limite, sia ben chiaro, ma potrebbe verificarsi. E allora tutti a manifestare il proprio malcontento quando una legittima minoranza dovrà  amministrare il nostro paese.

Di fronte ad una così assurda quanto lecita legge elettorale, cosa fa e dov’è la società civile. Certamente è rintanata nelle proprie case, nei propri ambiti di lavoro e fa quello che ha fatto sempre: continuerà a produrre silenziosamente; continuerà a trovare sotterfugi nuovi per non soccombere; urlerà di fronte ai nuovi “semafori killer”  continuerà a contestare l’assurdo uso che si fa degli “autovelox” e a viversi, a torto o a ragione, un forte senso di ingiustizia. Potremmo continuare ancora ad elencare  ogni abuso degli strumenti che dovrebbero servire per garantire una civica convivenza tra norme  e cittadino.

La società civile privata del potere reale di decidere la maggioranza che la dovrà amministrare, esautorata della sua sostanziale sovranità espressa nei diversi modi permessi in una sana  democrazia e, conscia del regime di democrazia paradossa in cui vive, è fortemente disamorata di questo modo di fare politica. 

E’ lecito quanto si sta verificando a Veglie nella formazione delle liste elettorali, ma la società civile ha anche delle regole che non sono scritte nei codici ma che sono dettate dal buon senso, da un sentire comune, dalla voglia di sentirsi partecipe  di un progetto comune, e comunque sono quelle regole interiori che sottostanno poi  a tutto l’ordinamento giuridico-normativo che regola la convivenza civile nelle sue molteplici diversità.

Il vedere che l’attuale modo di fare politica, manca di quel  minimo di eticità necessaria per mantenere il rapporto tra politica e cittadino serve solo a ingrandire sempre di più quella diastasi esistente fra le due realtà. Un sintomo? Il calo progressivo e notevole degli aventi diritto al voto che per protesta non esprime  più quanto gli spetta per diritto.

Necessita, affinché questa diastasi non si accentui sempre di più, di un modo nuovo di fare politica; c’è bisogno di meno litigiosità fra gli esponenti delle diverse organizzazioni partitiche; più coerenza con i programmi che la società civile indica; un po’ di umiltà necessaria per comprendere la differenza tra comandare ed amministrare.

Può essere questo un modo per mettere il Cittadino in condizione di “I CARE of state”, sentirsi “SIMPATIZZARE “ con chi ha scelto di “fare politica” in  un momento difficile della vita del nostro paese.

Ritengo che tutto ciò non sia solo un’opinione ma,pur non volendo  dare ragione alla destra o alla sinistra,  è una richiesta, forse utopica, che parte da un cittadino  che ritiene di  appartenere alla società civile.

Buon lavoro a tutti.

10 Marzo 2000