sud, il riscatto dipende anche dai candidati in lista

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da: Gazzetta del Mezzogiorno, 03 gennaio 2004 * "Gazzetta"

 

A qualcuno può essere sfuggita questa prima pagina della Gazzetta del Mezzogiorno, Veglieonline la ripropone per la sua interessante riflessione.

2004: come può guarire la «nostra miopia»
Sud, il riscatto dipende
anche dai candidati in lista

GIUSEPPE GIACOVAZZO
 

Potrà cambiare la nostra vita in questo anno che comincia? Potrà migliorare, dopo un anno che se n'è andato senza lasciarci un filo di nostalgia? Siamo alla vigilia di scadenze politiche importanti. A primavera si voterà per il Parlamento europeo, per i Comuni e le Province. Per le Europee non è facile cavare un bilancio. I nostri rappresentanti a Strasburgo formano uno strano campionario. Si può dire che appartengano alla categoria dei fantasmi. Chi ricorda oggi come abbiamo votato cinque anni fa? E gli eletti, cosa hanno prodotto gli eletti? Qualcuno ha lavorato. Ma siamo a corto di notizie. E poi vi è di mezzo quel benedetto sistema elettorale che li rende evanescenti. Nessuno riesce eletto se non è sostenuto da tre quattro regioni ferreamente coordinate dai partiti nazionali. Nulla di più alieno alla partecipazione diretta dei cittadini.
E ne risente soprattutto il Mezzogiorno, geograficamente disperso. Regioni meridionali incomunicanti tra loro, rispetto al Nord. Qui ci perdiamo in estenuanti diatribe su un bene elementare come l'acqua, tra popoli confinanti. Il Nord sempre più integrato e compatto, più omogeneo economicamente, più solidale socialmente. E anche per questo più capace di far valere i propri interessi nei Parlamenti nazionale ed europeo, a confronto di un Mezzogiorno diviso, frantumato in questioni di campanile che accorciano e disperdono la visione d'insieme dei problemi. Non ultima ragione della irrilevanza a cui pare condannato il Mezzogiorno nel succedersi delle Finanziarie, come lucidamente dimostra l'analisi di Francesco Boccia in Mezzogiorno dimenticato (edizioni Palomar).
Molte e complesse le cause attuali e remote. Una la più lampante: la scarsa incidenza della classe politica meridionale (salvo rare eccezioni) sia nella maggioranza che nell'opposizione. Nessun leader del Sud è oggi in grado di farsi valere nel governo come Bossi che tuona: «Guai a chi tocca il ministro Tremonti!» Che non è un traliccio dell'Enel, ma semplicemente colui che «finalmente ha sistemato le cose tra Nord e Sud», soggiunge il Senatur. E si può giurare che l'abbia sistemate con un occhio di riguardo al di là della linea gotica.
I ministri della Lega non esitano a scendere in lotta a fianco dei Cobas del latte, contro la legalità europea. Il Sud deve affidarsi all'indignazione popolare per cancellare l'illegalità del governo che aveva destinato a Scanzano Jonico un gran cimitero di scorie nucleari, unica attenzione al Mezzogiorno dimenticato. È insorto il popolo lucano, più fiero della sua classe politica locale.
Le regioni meridionali hanno dato all'attuale maggioranza di governo più di quanto non abbiano ricevuto. Ma hanno poca voce in capitolo. Nella prima Repubblica il Mezzogiorno ha espresso leader politici importanti. Bastano i nomi di Moro, La Malfa, Berlinguer, De Martino, Colombo, Mancini, De Mita. Con loro il Sud ha contato di più. E non c'era posto, in quei governi, per nessun ministro dell'economia a mezzo servizio sulla linea gotica.
Al Nord i partiti oggi contano di più, e sono più uniti. A Bologna è possibile decidere un anno prima la candidatura a sindaco di Cofferati. A Bari si litiga da mesi. E nel centrosinistra corrono voci di rotture, di listarelle a dispetto. In tutto il Sud la personalizzazione della politica sta toccando livelli di decomposizione mai raggiunti. Trionfa la deificazione americana del «denaro latte materno della politica», ma senza i correttivi virtuosi della democrazia americana, e senza un ceto economico capace di esprimere rispettabili leadership.
Diagnosi del resto ricorrente in tutti i nostri meridionalisti, che alla critica sapevano unire l'autocritica, e alla latitanza dello Stato l'insufficienza della nostra classe dirigente. «La nostra miopia», diceva Luigi Sturzo. Che non è roba da oculisti. Era ed è il nostro male atavico: la furbizia levantina, quel ridursi alla gestione dell'esistente, tra conventicole che si tramandano privilegi, coltivando carriere nel più gretto familismo agropastorale. Tutte storie che hanno arrecato al Mezzogiorno più danni di quanti non abbia subito dalla pervicace politica protezionistica dello Stato centrale.
Con queste premesse cosa può cambiare, a cominciare dalla politica? Ecco perché sono importanti le prossime elezioni di primavera. Esse ci daranno né più né meno quello che avremo messo nelle urne. Ma dipende dalla responsabilità delle forze politiche la scelta di candidati degni, capaci di imprimere una svolta nella vita dei Comuni e delle Province. Dipende da loro far emergere, al di sopra dei personalismi, una chiara proposta politica che privilegi anzitutto la rinascita culturale delle regioni meridionali, premessa di ogni serio cambiamento. Nel bene e nel male, la storia siamo noi.