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      A 
      qualcuno può essere sfuggita questa prima pagina della Gazzetta del 
      Mezzogiorno, Veglieonline la ripropone per la sua interessante 
      riflessione. 
       
               
      
      2004: 
      come può guarire la «nostra miopia» 
      
      Sud, il riscatto dipende  
      anche dai candidati in lista 
      GIUSEPPE GIACOVAZZO  
  
      Potrà cambiare la nostra vita in questo 
      anno che comincia? Potrà migliorare, dopo un anno che se n'è andato senza 
      lasciarci un filo di nostalgia? Siamo alla vigilia di scadenze politiche 
      importanti. A primavera si voterà per il Parlamento europeo, per i Comuni 
      e le Province. Per le Europee non è facile cavare un bilancio. I nostri 
      rappresentanti a Strasburgo formano uno strano campionario. Si può dire 
      che appartengano alla categoria dei fantasmi. Chi ricorda oggi come 
      abbiamo votato cinque anni fa? E gli eletti, cosa hanno prodotto gli 
      eletti? Qualcuno ha lavorato. Ma siamo a corto di notizie. E poi vi è di 
      mezzo quel benedetto sistema elettorale che li rende evanescenti. Nessuno 
      riesce eletto se non è sostenuto da tre quattro regioni ferreamente 
      coordinate dai partiti nazionali. Nulla di più alieno alla partecipazione 
      diretta dei cittadini.  
      E ne risente soprattutto il Mezzogiorno, geograficamente disperso. Regioni 
      meridionali incomunicanti tra loro, rispetto al Nord. Qui ci perdiamo in 
      estenuanti diatribe su un bene elementare come l'acqua, tra popoli 
      confinanti. Il Nord sempre più integrato e compatto, più omogeneo 
      economicamente, più solidale socialmente. E anche per questo più capace di 
      far valere i propri interessi nei Parlamenti nazionale ed europeo, a 
      confronto di un Mezzogiorno diviso, frantumato in questioni di campanile 
      che accorciano e disperdono la visione d'insieme dei problemi. Non ultima 
      ragione della irrilevanza a cui pare condannato il Mezzogiorno nel 
      succedersi delle Finanziarie, come lucidamente dimostra l'analisi di 
      Francesco Boccia in Mezzogiorno dimenticato (edizioni Palomar).  
      Molte e complesse le cause attuali e remote. Una la più lampante: la 
      scarsa incidenza della classe politica meridionale (salvo rare eccezioni) 
      sia nella maggioranza che nell'opposizione. Nessun leader del Sud è oggi 
      in grado di farsi valere nel governo come Bossi che tuona: «Guai a chi 
      tocca il ministro Tremonti!» Che non è un traliccio dell'Enel, ma 
      semplicemente colui che «finalmente ha sistemato le cose tra Nord e Sud», 
      soggiunge il Senatur. E si può giurare che l'abbia sistemate con un occhio 
      di riguardo al di là della linea gotica.  
      I ministri della Lega non esitano a scendere in lotta a fianco dei Cobas 
      del latte, contro la legalità europea. Il Sud deve affidarsi 
      all'indignazione popolare per cancellare l'illegalità del governo che 
      aveva destinato a Scanzano Jonico un gran cimitero di scorie nucleari, 
      unica attenzione al Mezzogiorno dimenticato. È insorto il popolo lucano, 
      più fiero della sua classe politica locale.  
      Le regioni meridionali hanno dato all'attuale maggioranza di governo più 
      di quanto non abbiano ricevuto. Ma hanno poca voce in capitolo. Nella 
      prima Repubblica il Mezzogiorno ha espresso leader politici importanti. 
      Bastano i nomi di Moro, La Malfa, Berlinguer, De Martino, Colombo, 
      Mancini, De Mita. Con loro il Sud ha contato di più. E non c'era posto, in 
      quei governi, per nessun ministro dell'economia a mezzo servizio sulla 
      linea gotica.  
      Al Nord i partiti oggi contano di più, e sono più uniti. A Bologna è 
      possibile decidere un anno prima la candidatura a sindaco di Cofferati. A 
      Bari si litiga da mesi. E nel centrosinistra corrono voci di rotture, di 
      listarelle a dispetto. In tutto il Sud la personalizzazione della politica 
      sta toccando livelli di decomposizione mai raggiunti. Trionfa la 
      deificazione americana del «denaro latte materno della politica», ma senza 
      i correttivi virtuosi della democrazia americana, e senza un ceto 
      economico capace di esprimere rispettabili leadership.  
      Diagnosi del resto ricorrente in tutti i nostri meridionalisti, che alla 
      critica sapevano unire l'autocritica, e alla latitanza dello Stato 
      l'insufficienza della nostra classe dirigente. «La nostra miopia», diceva 
      Luigi Sturzo. Che non è roba da oculisti. Era ed è il nostro male atavico: 
      la furbizia levantina, quel ridursi alla gestione dell'esistente, tra 
      conventicole che si tramandano privilegi, coltivando carriere nel più 
      gretto familismo agropastorale. Tutte storie che hanno arrecato al 
      Mezzogiorno più danni di quanti non abbia subito dalla pervicace politica 
      protezionistica dello Stato centrale.  
      Con queste premesse cosa può cambiare, a cominciare dalla politica? Ecco 
      perché sono importanti le prossime elezioni di primavera. Esse ci daranno 
      né più né meno quello che avremo messo nelle urne. Ma dipende dalla 
      responsabilità delle forze politiche la scelta di candidati degni, capaci 
      di imprimere una svolta nella vita dei Comuni e delle Province. Dipende da 
      loro far emergere, al di sopra dei personalismi, una chiara proposta 
      politica che privilegi anzitutto la rinascita culturale delle regioni 
      meridionali, premessa di ogni serio cambiamento. Nel bene e nel male, la 
      storia siamo noi.  |