Le
richieste del pubblico ministero, nella requisitoria di ieri
mattina, contro i presunti autori della strage dalla Grottella:
"Carcere a vita per i killer"
MA
AI PARENTI E' STATO NEGATO L'ACCESSO AL FONDO DI ROTAZIONE
Carcere
a vita per i presunti autori della strage della Grottella. La pena è
stata invocata ieri mattina al termine della requisitoria dal pubblico
ministero Guglielmo Cataldi. Nel processo-bis per il sanguinoso assalto ai
furgoni della Velilapol sono alla sbarra Pasquale Tanisi di Ruffano,
Antonio Tarantini di Monteroni e Marcello Ladu, sardo d'origine ma che ha
trascorso gran parte della sua latitanza nelle campagne intorno a Nociglia.
La mattina del 6 dicembre del 1999 avrebbero preso parte alla rapina
compiuta sulla Copertino-San Donato, poco prima dello svincolo della
Lecce-Gallipoli. Tre guardie giurate rimasero sull'asfalto: Raffaele
Arnesano, Rodolfo Patera e Luigi Pulli: altre tre furono ferite.
Il commando sarebbe stato composto da almeno sei persone. Tre sono già
state condannate: a Vito Di Emidio, capobanda ed oggi collaboratore di
giustizia, con l'abbreviato, sono stati inflitti meno di vent'anni. I due
sardi Pierluigi Congiu e Gianluigi De Pau, arrestati poche ore dopo la
rapina in una masseria di Melendugno, sono stati condannati all'ergastolo.
E l'11 dicembre ci sarà l'Appello.
Conclusa la requisitoria (cominciata nella precedente udienza con
l'intervento del sostituto procuratore Patrizia Ciccarese), però,
l'udienza in Assise ha registrato un altro sussulto, per certi aspetti più
clamoroso dell'invocazione del carcere a vita. Gli avvocati di parte
civile, Gaetano Gorgoni ed Ennio Cioffi, hanno reso noto che il Comitato
di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso ha negato ai
parenti di due vittime (Raffele Arnesano e Rodolfo Patera) l'accesso al
Fondo di rotazione. Contro questa decisione i due difensori hanno
presentato ricorso al Tar, il Tribunale amministrativo regionale, per
ottenere l'annullamento del provvedimento sia per motivazioni ritenute
carenti ed irrazionali, sia per l'assenza di adeguata istruttoria della
pratica.
Non più di due anni fa, esattamente il 23 febbraio del 2002, le vedove
della strage della Grottella, hanno ricevuto la medaglia d'oro al valor
civile del Capo dello Stato, nel corso di una cerimonia svoltasi in
Prefettura.
Alla base dell'esclusione dal Fondo previsto per le vittime della mafia vi
è il contenuto delle sentenze emesse finora sulla strage della Grottella.
Sia in quella contro i sardi che contro Di Emidio non si fa riferimento ad
associazione di stampo mafioso. Gli avvocati, però, contestano che la
sola lettura delle sentenze possa essere sufficiente per negare l'accesso
al Fondo di rotazione.
«E' mancata un'istruttoria adeguata - sostengono i due legali -
altrimenti si sarebbe accertato che, dagli atti processuali, emerge che
Vito Di Emidio, per sua stessa ammissione, risulta essere il solo capo del
commando criminale composto da sei uomini e che faceva parte di
un'organizzazione associata alla Sacra corona unita ed a questa versava
buona parte dei proventi della sua attività».
Ma ritorniamo al processo. La prossima udienza è fissata per il 24
novembre. Cominceranno le arringhe dei difensori: gli avvocati Pantaleo
Cannoletta, Luigi Corvaglia, Alfredo Cardiglian, Sergio Milia. Il primo
dicembre, poi, la Corte, presieduta dal giudice Giacomo Conte, si ritirerà
in camera di consiglio.
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