TORRE
LAPILLO/ Ieri altri 12 casi. E c'è chi inizia a parlare di «sindrome».
Il geologo: «Monitorare la falda»
Villeggianti
intossicati, la lista si allunga
Il sindaco: «Se
necessario imporremo analisi settimanali
dell'acqua ai proprietari dei
pozzi»
porto cesareo Dodici nuovi casi di
intossicazione gastrointestinale, otto nella notte e quattro nella
mattinata di ieri. E villeggianti sempre in fila indiana davanti ai
presidi medici di Torre Lapillo. I sintomi restano gli stessi: nausea, mal
di pancia, vomito, diarrea. Così l'elenco dei vacanzieri costretti a
ricorrere alle cure dei sanitari si allunga raggiungendo dimensioni
allarmanti: più di 60 da venerdì.
Tanto che, a parte i sospetti sull'acqua dei pozzi, c'è chi inizia a
parlare di suggestione psicologica. Una «sindrome di Sant'Isidoro»,
insomma, dalla vicina marina di Nardò dove circa 50 turisti sono stati
intossicati dall'acqua proveniente da un pozzo del camping, poi risultata
alle analisi effettivamente contaminata da coliformi fecali.
Un'ipotesi, quella della suggestione di massa, caldeggiata dal
Dipartimento di igiene e prevenzione del Distretto di Copertino,
competente sul territorio soggetto all'«epidemia» (da Torre Lapillo a
località Lido degli Angeli). «Al momento ai nostri uffici non è giunta
alcuna denuncia di intossicazione da acqua potabile - assicura la
dirigente Vincenza Ruberti - né ci risultano ricoveri per la stessa
causa. Non mettiamo in dubbio i malori, ma un mal di pancia o una diarrea
possono insorgere per svariati motivi, anche solo a causa di una
prolungata esposizione al sole». I tecnici dell'Ufficio igiene
sottolineano poi le difficoltà nell'individuazione di un eventuale
focolaio di infezione dovuto all'acqua, visto che le vittime
dell'intossicazione provengono da una fascia costiera lunga alcuni
chilometri. «Non abbiamo indizi sufficienti per procedere ai prelievi in
una zona determinata», spiegano. Ma proprio per questo alle ipotetiche
future «vittime» il Pronto soccorso chiederà, oltre al nome, di
specificare anche il domicilio nella marina, indicazione non prevista
nella normale procedura.
Solo una sindrome? Può darsi. Ma il problema dei pozzi che emungono acqua
da una falda spesso soggetta all'inquinamento dei liquami provenienti
dalle fogne a perdere resta una delle emergenze ambientali del Salento. E
sotto accusa c'è soprattutto il sistema dei controlli che - è il caso di
dire - fa acqua da tutte le parti. La commistione di competenze nel
rilascio delle autorizzazioni per i pozzi tra Genio civile e Provincia non
facilita il compito. Il Pmp effettua rilevazioni metodiche solo sull'acqua
dei pozzi dell'Acquedotto pugliese, mentre per quelli privati può
intervenire su richiesta delle autorità, cioè solo quando si è ormai di
fronte all'emergenza. E anche l'approvvigionamento d'acqua tramite
autobotti sfugge spesso a qualsiasi tipo di controllo. «È soprattutto
una questione di prevenzione - conferma Marco delle Rose, geologo del Cnr
ed esperto delle problematiche della falda freatica salentina - è chiaro
che quando la presenza antropica cresce esponenzialmente come accade
d'estate i rischi di inquinamento dell'acqua si moltiplicano. E non è un
problema solo della zona tra Porto Cesareo e Nardò, ma dell'intera fascia
costiera: dallo Jonio all'Adriatico. Bisogna correre ai ripari attivando
una rete costante di monitoraggio dello stato di salute della falda,
aumentare il numero di pozzi soggetti a controlli periodici, soprattutto
nella stagione estiva. Un monitoraggio che dovrebbe vedere coinvolto in
modo più organico anche il Cnr. È la sola strada per salvare la nostra
falda». m.s.
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