L'ANNO MILLE993

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da: Giovanni D'Elia, 28 maggio 2002 * "Libri"

 

Recensione dell’opera “L’ANNO MILLE993” di Josè Saramago
Titolo originale: “O Ano de 1993

Traduzione di: Domenico Corradini H. Broussard
75 pag., € 9,30 – Edizioni Einaudi (I Coralli)

Josè Saramago è nato nel 1922 ad Azinhaga (Portogallo); narratore, poeta e drammaturgo, ha coronato la sua vita artistica con la vittoria del “Premio Nobel" per la Letteratura nel 1998.  

Antefatto:
Siamo nel 1974, un mese prima della rivoluzione, compiuta il 25 aprile, che aprirà le porte alla democrazia nel Portogallo (dopo anni di dominio fascista) un gruppo di militari, partiti da una piccola città, tentarono di rovesciare il governo e cambiarne il regime. Ovviamente l’impresa non riuscì, ma questo fatto colpì talmente la fantasia del Saramago da comporre un opera che può essere definita un “archetipo della storia dell’uomo” , ovvero, anche se ad ispirarla è stato un fatto reale e circoscritto alle vicende del Portogallo, quest’opera si può configurare ed adattare a tutte le vicende umane, perché, come diceva Nietzsche: “ricurvo è il sentiero dell’esperienza”. Tutto ritorna, la vita è un ciclo e nella storia dell’uomo ci sono delle spinte archetipiche costanti e immutabili. E il Saramago ha compreso ciò, componendo uno scritto che, per dirla ancora con Nietzsche, è un libro “per tutti e per nessuno”. A voi leggerlo ed interpretarlo come volete. 

Breve commento:
L’opera si apre citando Dalì. Proprio Dalì fu l’unico artista in grado di raffigurare le vicende dell’anno mille993, l’unico che abbia “stuzzicato” l’ego immaginale del Saramago, tanto da citarlo nel primo dei trenta brevissimi capitoli.

Fu scelto il mille993 perché all’epoca sembrava un anno lontanissimo, talmente lontano da far sperare all’autore che questi fatti non sarebbero mai più accaduti, ma ciò non è avvenuto, anzi, è avvenuto anche l’impensabile.

Le figure retoriche a volte mettono il lettore un po’ a disagio: l’atmosfera tetra e lugubre (tanto che ci può ricordare il periodo nazista), le figure retoriche dei topi, ragni e serpenti che “ogni notte fanno la conta”, l’immissione di alcuni capitoli altamente drammatici rendono la lettura un po’ difficile, ma sicuramente appassionante.

I riferimenti politici sono numerosi, e numerose sono anche le figure universali della “Paura”, del “Mito” e soprattutto della “Speranza” . E’ proprio alla speranza che il Saramago ha dato più peso, facendo capire molte volte (come si racconta nella prefazione) che “immortale è la speranza”; in altre parole: una fiducia nelle generazioni future che, mettendo da parte le insulse armi, possano incamminarsi insieme per creare nuova storia sotto il segno di eros.

1993 è un anno simbolico, lontano nel tempo, ma non troppo, al momento in cui scrive Saramago. Esattamente come il 1984 di Orwell o il 2001 di Artur Clarke. Ora che abbiamo superato questa data, il suo racconto ci sembra profetico: come sarà il futuro? Sarà davvero così o giungeranno anni migliori? Verranno, dice Saramago, i tempi più felici del duemila93 , almeno per i figli dei nostri figli. Una speranza per il futuro, ma velata da un senso di angoscia.

Che dire altro? Le parole di critica o di commento sono inutili verso un libro di ampia interpretazione. E’ un archetipo, e come tale va considerato. Non resta che leggerlo; e che l’ego immaginale possa suggerirvi sempre nuove strade da percorrere per creare nuova storia. Sotto il segno di eros, ovviamente.                    Giovanni D’Elia

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