IL CACCIATORE DI AQUILONI - Khaled HOSSEINI

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da: Dania, 11 dicembre 2007 * "Libri"

 

IL CACCIATORE DI AQUILONI di KHALED HOSSEINI - Edizioni Piemme Spa, agosto 2007-

L’Afghanistan, quella terra martoriata che, attraverso i militari del contingente di pace, è costata anche all’Italia un pesante contributo di vite umane, ha conosciuto un tempo in cui la gente poteva vivere in pace e anche parlare con entusiasmo di sviluppo, riforme e diritti civili alle donne.

KHALED HOSSEINI, col suo romanzo “IL CACCIATORE DI AQUILONI”, tramite il racconto in prima persona di Amir, fa conoscere ai lettori che c’è stato, sì, quel tempo in cui in Afghanistan si poteva veder fiorire l’ibisco e il gelsomino e fruttificare il melograno. E anche, con l’arrivo dell’inverno, veder volteggiare in cielo stormi di aquiloni ingaggiati nell’antico tradizionale torneo.

E’ questo l’ambiente in cui hanno trascorso l’infanzia, felicemente insieme, due ragazzini, noncuranti di razze e di ceti sociali. Infatti, anche se in famiglia i ruoli venivano rispettati, poco era loro importato dell’appartenenza a diverse etnie: a quella Pasthun, Amir, figlio di “Baba”, signore di casa; a quella Hazara, Hassan, figlio del servo Alì.

La spensieratezza e l’amicizia fra i due adolescenti vivrà fino al giorno in cui Amir, vincitore del torneo di aquiloni, non trova il coraggio di accorrere in soccorso di Hassan che, per difendere il trofeo dell’amico, soccombe alla violenza di un gruppo di teppisti, razzisti e maledetti.

Hassan, pur sapendo di essere stato lasciato solo, non recrimina e non accusa, ma nella tristezza dei suoi occhi Amir vedrà impressa la propria codardia: una verità insopportabile per lui, proprio nel momento in cui ambiva ad ottenere maggior considerazione dal padre. Per questo tradirà la dedizione e l’affetto di Hassan, compiendo alcune azioni preposte a screditarlo per provocare il suo allontanamento da casa. Nonostante Baba abbia parole di perdono, Alì e Hassan si trasferiranno in Hazarajat. Amir è riuscito nell’intento, ma un pesante fardello di rimorso e vergogna lo accompagnerà per sempre.

Purtroppo, anche per l’Afghanistan nulla sarà più uguale: il susseguirsi di tragici avvenimenti sconvolgerà la vita del Paese: nel 1978 il colpo di stato comunista; nel dicembre del ’79 l’invasione dei carri armati sovietici; nel ’95 diverse fazioni lottano l’una contro l’altra per contendersi il comando di Kabul. Sarà poi, tragedia nella tragedia, la volta dei Talebani.
L’ibisco e il gelsomino non fioriranno più. I bimbi non si arrampicheranno più tra i rami dei fichi e dei melograni ormai sterili e rinsecchiti, ma riempiranno le tristi mura degli orfanotrofi. Il prato degli stadi non sarà più un tappeto verde, ma un terreno sconnesso e macchiato di rosso per lo svolgimento, tra una partita di calcio e l’altra, di ben altre, raccapriccianti rappresentazioni.

Con l’invasione russa Amir e Baba cercano asilo prima in Pakistan, poi in America, dove vivranno liberi, ma tra le privazioni spirituali e materiali comuni a tutti gli esuli. Dirà Amir: “Per me l’America era il luogo per seppellire i miei ricordi. Per Baba il luogo dove piangere i suoi.”

In esilio Amir seppellirà il padre, ma non i ricordi, che riaffioreranno nitidi al richiamo telefonico: “Vieni, esiste un modo per tornare ad essere buoni”. Intuendo che l’invito è collegato all’esistenza di Hassan, Amir torna in Pakistan.

Da Rahim Khan, anziano amico di famiglia, Amir saprà come s’è svolta la vita afghana in quei duri anni di guerra; di come le orecchie si fossero abituate al “sibilo delle bombe e al frastuono dei mortai”; del tentativo della gente di sopravvivere inventandosi una normalità; di come la guerra possa abbrutire l’uomo e trasformare in spie i cittadini – tutti contro tutti – e rendere violenti e arroganti gli affiliati al potere vigente. Saprà dei divieti e delle atrocità compiute dai Talebani; del massacro della popolazione Hazara. Infine di alcune vicende familiari, che gli erano sempre state taciute.

Spronato da Rahim Khan e dalla sua coscienza, Amir troverà il coraggio di tornare a Kabul, città che stenterà a riconoscere, tanto la guerra ne ha stravolto lo scenario.
Assisterà di persona ai crimini commessi dagli ipocriti fondamentalisti, che a nome della religione condannano alla lapidazione gli adulteri, mentre loro stessi si macchiano impunemente di colpe ben più gravi, come la pedofilia.
Affrontando mille avversità e lottando con tutte le sue forze contro i fantasmi del passato, riapparsi nella persona di Assef - l’aguzzino di Kabul - Amir riscatterà i suoi errori di ragazzino.

Molto provato fisicamente, ma in pace con se stesso, farà ritorno in America, portando con sé Sohrab, il nuovo giovane amico: ad attenderli ci sarà la moglie Soraya. Ci vorrà tempo e tutta la loro dedizione: alla fine sorrideranno insieme, scoprendo che un abbraccio sincero ed un volo di aquilone possono bastare, per riaccendere un barlume di speranza e di gioia di vivere nell’infanzia più calpestata ed umiliata.

Dopo l’attacco dell’undici settembre 2001 alle Torri Gemelle, l’America bombarda l’Afghanistan, mettendo in fuga i Talebani. Nel dicembre dello stesso anno, con Hamid Karzai Presidente ad interim (presidente eletto nel 2004) il Paese tenta la riscossa, cercando di lasciarsi alle spalle “venti anni di infelicità”. La strada della Pace e della ricostruzione è lunga e difficile, ma forte è la speranza del popolo afghano.

“Il cacciatore di aquiloni”: Khaled Hosseini nelle 390 pagine chiare, intense e coinvolgenti, arricchite anche da molte espressioni in lingua originale, fa scorrere davanti agli occhi dei lettori, con la vita di Amir e di Hassan, molteplici tappe della dolorosa storia della terra Afghana, ma non solo. L’autore racconterà in modo minuzioso, fotografico, il vento, gli aquiloni, i suoni, i colori, il profumo, i cibi, l’abbigliamento, le usanze, la lingua, i detti della sua patria.

Si può dire che tutto il fascino e tutte le ferite dell’Afghanistan, sono custodite in questo libro, che si vorrà leggere tutto d’un fiato.

dania

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