medico, perchE'?

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da: Dania, 24 marzo 2004 * "Liberi Pensieri" - CARTA DEI DIRITTI DEL MALATO TERMINALE

 

Medico, perché?

Puntuale come un orologio svizzero, il dottor Arnaldo arrivava ogni mattina per prestare le cure all’ammalata. Più volte, osservando il suo arrivo dalla finestra del terzo piano della palazzina, puntavo gli occhi sulla tipica valigetta che ciondolava al suo fianco, chiedendomi come non gli fosse ancora arrivato l’impulso di farla roteare con forza per lanciarla lontano, il più possibile, da se stesso.

Mi chiedevo se la visita di ogni giorno non gli rinnovasse il dolore per i lutti che in breve tempo gli avevano portato via la madre, prima, poi la giovane sorella - neolaureata in medicina - ed infine il padre, medico molto stimato in paese.

Mi chiedevo ancora quale forte spinta umanitaria lo inducesse a non deviare il suo passo, pur  sapendo che, là da noi, tutto il tempo trascorso sui libri, tutti gli esami portati avanti brillantemente, tutta l’esperienza accumulata nell’esercizio della professione, nulla avrebbero potuto. Nulla più, oramai,  se non alleviare il dolore. 

L’ultima volta che lo vidi a casa di mia sorella aveva le mani in mano, niente valigetta! Sull’uscio, quando lo ringraziai per la sua professionalità e la sua umanità  si schernì, quasi si sentisse  in colpa per non aver potuto far sì che fosse stata la vita ad averla vinta.

Lui lo sapeva da tempo, e lo sapevamo pure noi, che la sua medicina non avrebbe potuto fare più nulla. Sono passati anni, ma riconosco ancora quanto le sue visite giornaliere siano state preziose anche a noi familiari, per consolazione e supporto. La presenza di un bravo medico riesce a sostenere gli animi dei sani là dove non sia possibile far più nulla per gli ammalati. Alla fine di tutto, per sentirci in pace, è importante poter dire “Abbiamo fatto tutto quello che era possibile fare” Ma cosa avremmo potuto fare senza  l’appoggio del  medico, del medico di famiglia?

L’ammalato oncologico, quale terapia?

Può capitare che ti scorra davanti agli occhi la nota  informativa col programma di un convegno al quale, benché tu lo ritenga alquanto importante, certamente non potrai partecipare. Ci passi sopra. Cerchi di non pensarci più, tanto, prima o poi, capiterà un’altra occasione. Invece no, il ricordo di quell’evento non vuole andarsene dai tuoi pensieri, così finisci col ricercare qualche nome conosciuto tra i responsabili dell’Associazione  per  farti dare notizie dettagliate su quanto è stato discusso: e ci riesci. Ti ritrovi così fra le mani la registrazione completa degli interventi di tutti i relatori. E te la ascolti e te la trascrivi. E compari il  fiume di sagge parole degli esperti con le immagini della tue personali e dolorose esperienze. E riconosci i limiti in cui ti sei mossa, perché anche se spinti dall’amore, non ci si improvvisa eroi, non ci si improvvisa psicologi, non ci si improvvisa operatori sanitari. E cerchi di dar risposte ai dubbi che, comunque, anche se hai fatto tutto  quel che hai potuto,  ti son rimasti dentro: dubbi su  parole dette in particolari momenti o sul tuo silenzio in altre occasioni quando l’ammalato, invece, avrebbe voluto parlare, magari di quella morte che più che lui, eri tu a non voler accettare!

E torni  a meditare sull’importanza di un buon rapporto col  medico di famiglia, memore di  quella volta che, se non ci  fosse stato un precedente,  sincero e fiducioso, colloquio con lo stesso, la dura chiamata telefonica di uno zelante, quanto imprudente radiologo, avrebbe potuto trasformarsi in tragedia nella tragedia.

Infine ti soffermi a contrapporre gli ideali motori portanti dell’Associazione in questione, con le teorie alternative che tramite i mass media tanti vogliono propinare come indispensabili in una civiltà moderna come la nostra. Cioè Eubiosia contro Eutanasia. Oppure empatia, cura, sostegno psicologico, terapia di supporto,  contro  l’accanimento terapeutico disordinato, che può  produrre solo false speranze e  cocenti  disillusioni. E anche inutili   sacrifici economici ai familiari.

E’ avvenuto il 20 marzo del 2003 il convegno a cui faccio riferimento, e l’Associazione ad averlo organizzato è l’ANT di Veglie (Associazione Nazionale Tumori) che proprio in quel periodo era stata ufficialmente nominata “delegazione aggregata” dalla sede centrale di Bologna. Promozione ottenuta sul campo, della quale  i Volontari  di Veglie andavano, e vanno, giustamente fieri! Il tema del dibattito è stato  “L’ammalato oncologico, quale terapia?”

Sono intervenuti: Anna Rita Pierri, responsabile ANT-Veglie;, Fernando Fai, assessore alla Provincia; Mario Albano, assessore al Comune; Franco Vizzi, primario chirurgo; Roberto Carlà, sindaco di Veglie; Donatella Giannotta, presidente ANT-San Pancrazio; Fabio Musca, primario oncologo; Cosimo Rollo, docente in psicologia; Nino Mortella, medico ANT; Piero Tundo, sacerdote.

Hanno spiegato, i relatori che si sono susseguiti, che oggi come oggi di tumore si può guarire, perché le cure mediche son sempre più “cose dell’altro mondo” e la chirurgia sempre più sofisticata e meno invasiva. Ma anche che le insorgenze della patologia cancro stanno aumentando, specie nel Nord-Salento, per cui è necessario sconfiggere la paura e dare maggiore spazio alla corretta informazione, che porta al monitoraggio preventivo e alla diagnosi precoce, tappe indispensabili per guardare al traguardo guarigione.

Tutti hanno ribadito l’importanza del Volontariato nella cura dell’ammalato oncologico; dell’empatia, cioè del sapersi mettere nei panni dell’altro per dare coraggio, amore, solidarietà; dell’importanza della presenza  del medico di famiglia, auspicando un ritorno  al  rapporto vecchio stampo, quando il  medico di famiglia conglobava interventi medico-socio-psicologici.

Hanno altresì sottolineato l’importanza che l’ammalato e i suoi familiari mai si sentano soli; la necessità di  lavorare in gruppo e in sintonia;  della rinuncia alle deleghe, perché anche gli operatori sanitari - oncologo, chirurgo e psicologo - non possono essere lasciati soli a fianco dell’ammalato, essendo il percorso arduo, lungo e irto di difficoltà. E anche il ruolo importante, anzi, indispensabile e “profetico di un nuovo tipo di società” del volontariato.

L’Associazione ANT è stata fondata a Bologna dal Professor Franco Pannuti per dar vita ad un progetto chiamato Eubiosia = buona vita, cioè attivarsi  per dare all’ammalato “una buona qualità di vita fino all’ultimo respiro, per salvaguardare la dignità della persona anche nella sofferenza ”.

Questo progetto si contrappone con forza alla Eutanasia attiva = morte anticipata o, meglio, omicidio a richiesta.

E anche all’Eutanasia passiva = non far più niente, sospendere ogni cura e lasciar morire l’ammalato.

E’ il progetto che anche la delegazione aggregata ANT di Veglie, coi suoi Volontari, sta portando avanti, anche se ancora non può garantire, ma auspica di poterlo non appena  possibile,  l’assistenza gratuita agli ammalati di tumore 24 ore su 24, come avviene in Emilia Romagna.

Con la consapevolezza che per curare “l’amore ci vuole ma non basta”, l’assistenza al malato oncologico terminale è affidata a  personale altamente qualificato - formato e retribuito direttamente dall’ANT- in grado di affrontare le innumerevoli problematiche che insorgono con  l’evolversi delle diversi  fasi della malattia.  

I Volontari, attenti a non far mancare la loro presenza là dove fosse richiesta, armati di grande  entusiasmo e di altruismo, sostengono  le iniziative nazionali organizzate dalle sede centrale di Bologna, come la vendita delle Stelle di Natale o le Uova Pasquali, ma  si attivano anche in altre iniziative in zona: vedi la recita pro ANT; la vendita di gelato pro ANT a Torre Lapillo; la partecipazione alla fiera della gastronomia a Veglie: nessuna occasione è tralasciata quando s’intravede la possibilità di raccogliere fondi per l’ANT, con l’unico scopo di poter dare, gratuitamente,  assistenza medica specialistica domiciliare a tutti gli ammalati di tumore.

Ogni volontario agisce col desiderio di far propria questa massima: “Là dove c’è un uomo che soffre, là vi sia un uomo che ama”.  E’ una bella prospettiva: sostenendo le loro iniziative, potremo farla pure nostra.

Indirizzandosi ai Volontari ANT, Fernando Fai ha detto: “Voi, ecco, avete piantato un albero, un albero molto importante; gli alberi hanno bisogno di essere annaffiati, ma hanno bisogno di essere annaffiati un po’ da tutti quanti!”.

Dania

Carta dei diritti del malato terminale
redatta dal servizio Anestesia e Terapia del Dolore del Policlinico di Pescara
(prodotta  al Convegno dal Professor Cosimo Rollo, a conclusione del suo intervento)

Ho il diritto di essere trattato come persona fino alla mia morte.
Ho il diritto di mantenere una speranza qualunque essa sia.
Ho il diritto di esprimere le mie emozioni,
i miei sentimenti per ciò che riguarda la mia morte.
Ho il diritto di ottenere l’attenzione dei medici, degli infermieri anche se i loro metodi di cura devono essere cambiati per i miei obiettivi di conforto.
Ho il diritto di non morire da solo.
Ho il diritto di essere liberato dal dolore.
Ho il diritto di ottenere una risposta onesta, qualunque sia la mia domanda.
Ho il diritto di non essere ingannato.
Ho il diritto di ricevere aiuto dalla mia famiglia e per la mia famiglia.
Ho il diritto di mantenere la mia personalità,  di non essere giudicato.
Ho il diritto di essere accompagnato da persone sensibili e competenti, che comprendano i miei bisogni e che mi aiutino ad affrontare la morte.
Ho il diritto che il mio corpo venga rispettato dopo la mia morte.

Dania