IL PESO DELLE PAROLE E LA FORZA DELL'ABITUDINE
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da: Dania, 23 maggio 2004 * "Liberi Pensieri"
"IL
PESO DELLE PAROE
Ho ritrovato
nel cassetto una pagina della rivista femminile Amica, datata 7.12.78,
dove il compianto Prof. Eugenio Travaini, che gestiva la rubrica
"Un medico e la vita", così s'interrogava: "Ma
perché si dicono tante parolacce?" In quegli
anni faceva impressione, ci si scandalizzava ancora a sentire come i
giovani, senza pudori di sorta, andavano arricchendo il
proprio vocabolario con termini capaci di far arrossire anche il più
libero degli adulti. E gli studiosi del linguaggio e del comportamento,
nonché gli psicologi, si addentravano nell'argomento per trarne
le ipotesi più disparate. Fatto sta
che il fenomeno, da alcuni apostrofato come "sinistrese", non
è regredito, per cui tale linguaggio, divulgatosi tra i giovani, non ha
risparmiato neppure quelli che giovani non lo erano più, che, per non
apparire all'antica, o per non voler allargare il divario tra
generazioni, han pensato bene di adeguarvisi. Altrettanto han fatto i
genitori, visto il fallimento del loro tentativo di arginare le colorite
espressioni dei figli. La
parolaccia - definita a suo tempo "desiderio di libertà" da
Cesare Zavattini, il primo che osò trasmettere via radio il
temine con due zeta - è diventata di uso comune. Oggi nessuno ci fa più
caso. Nessuno si scandalizza. Nessuno ci ride. E' diventata del tutto
normale! Così normale da non costituire neppure più oggetto di
querela, anche per i lemmi più spinti, che volano spesso negli accesi
alterchi fra automobilisti. Comunque, tutti si sentono forti della
convinzione di essere in grado d'intavolare una conversazione in maniera
pulita e corretta, secondo le regole della lingua italiana e della buona
educazione e che la parolaccia, usata per rendere i discorsi più
sapidi, sapranno tenerla a bada, sotto controllo, là dove sarà
consigliabile farlo. Ma è
proprio così? Davvero non vi sarà effetto assuefazione? Nella vita
normale può essere che si riesca a controllare il linguaggio, vuoi
scrivendo, vuoi parlando, con persone ritenute di grande riguardo, ma
arrivano dei momenti in cui la lucidità cede e la forza dell'abitudine
prende il sopravvento su tutte le buone intenzioni. Il guaio è
che se nella quotidianità la parolaccia non ferisce più
nessuno, in casi particolari può divenire deleteria e portatrice di
malessere, se non di cocente sofferenza. Scorrono gli
anni tra miriadi di cambiamenti, ma l'essenza delle cose resta. Ricordo
il mio vecchio parroco raccontare, con dolore, la sua esperienza di
assistenza spirituale a quei fedeli che, oramai incoscienti,
si avvicinavano al termine del percorso umano, non formulando saggi
pensieri testamentari per i posteri o recitando preghiere, ma
pronunciando sequele interminabili di bestemmie! E posso
raccontare di coloro che accudiscono persone anziane in tutti i
loro bisogni, che si trovano a dover subire sfilze
d'improperi, di maledizioni e di parolacce a catena. Quando poi si
tratta di familiari, si sentono spaesati, frastornati e ricorrono alla
memoria per cercar di capire da dove possa giungere tale linguaggio, che
sono convinti non appartenere a quella persona, a quel loro
parente! E non arrivano alle conclusioni, e non vi ci possono
arrivare perché, molto probabilmente, quelle parole sono state
memorizzate nell'infanzia o nella prima adolescenza e, controllate dalla
volontà, sono rimaste sopite nei meandri del cervello, per riapparire
ora che l'autocontrollo non è più ottimale, nei momenti meno
opportuni! Se una
parolaccia pronunciata così, in libertà, nei momenti in cui si sarebbe
in grado di tenerla sotto controllo, non scandalizza più nessuno,
diverso è il risultato di chi si sente vomitare addosso sproloqui a
volontà, dopo aver adempiuto le azioni più umili . Non hanno
senso le rassicurazioni: "Lo sai che è ammalata! Lo sai che son
cose che non pensa!" Perché ci son momenti in cui nulla si
chiederebbe, né ringraziamenti, né elogi, se non un attimo di
rilassante silenzio. Perché si sa che la piccola e insistente goccia,
ha in sé il potere di corrodere la dura roccia! E allora,
che dovremmo fare? Limitarci il desiderio di libertà? Oppure
ritornare alla stucchevole e buonista proforma? Direi di no. Penso
che dovremmo concederci una pausa di riflessione sul corso della
vita, sull'oggi a te e domani a me, e vedere poi se non è il caso di
provvedere ad un reinserimento abitudinario nel nostro
linguaggio delle formule di gentilezza quali "potrei avere?;
Per favore!; Grazie!; Scusa!". Non così, tanto per, ma per
necessità, per far cadere il senso del tutto è dovuto e per - là dove
non si potessero compiere miracoli, tra una parola sconcia ed una
gentile - riuscire almeno a far pareggiare i conti! dania |