I RAGAZZI DEL MURETTO
Dania * 27 gennaio 2005 * __Chiudimi_|x|__ (pensieri)
Non so voi, ma io ho un debole per i gruppi di giovani, quelli ben inquadrati, s’intende, che si ritrovano sempre nello stesso luogo per trascorrervi lunghe ore, scherzando e ridendo di cose da nulla, paghi unicamente dello stare insieme e che sempre lì si organizzano per come passare le serate, i fine settimana, le vacanze, ma anche, da persone serie e consapevoli, per dedicarsi ad opere di volontariato
Nel vederli in attività, cadono tutti quei pregiudizi che vorrebbero i giovani d’oggi indolenti, egoisti, menefreghisti e costantemente insoddisfatti.
Che questi gruppi siano spontaneamente sorti all’ombra di un campanile, di una scuola o di un’associazione sportiva, non fa differenza: gli aderenti, con la generosità propria dell’età, vivono all’insegna dell’“uno per tutti e tutti per uno”, disdegnano il numero chiuso e trovano sempre spazio per accogliere fratelli, cugini, e chi altro chiede di accodarsi, con la filosofia che è meglio acquisire tanti nuovi amici piuttosto che perderne anche uno solo.
Da sempre queste compagnie sono fucine di tante belle e inossidabili amicizie, destinate a durare nel tempo, anche quando la vita costringe ognuno a staccarsi dal gruppo per incamminarsi su strade diverse.
Così, come si legano amicizie, è naturale che in questi effervescenti gruppi giovanili, nascano anche nuovi amori. Le coppie si formano, a volte tra elementi del gruppo già costituito, (e qui può accadere che i primi approcci si svolgano in maniera problematica, poiché tra intensa/fraterna amicizia e amore, il confine non sempre è ben delineato) altre volte con persone incontrate fuori, che vengono subito presentate e accolte dal resto della combriccola.
Sono molti i punti di forza che caratterizzano queste compagnie: spontaneità, trasparenza, lealtà, allegria, simpatia, generosità, fedeltà, condivisione, solidarietà, e chi più ne ha più ne metta, tuttavia non sono esenti da difficoltà di convivenza e da punti deboli: almeno due quelli che, a mio avviso, conviene evidenziare:
1) L’appartenenza al gruppo di coppie di fratelli, le cui uscite “insieme” fanno tanto felici i genitori, da vantaggiosa può trasformarsi in grosso problema: così come nelle migliori famiglie, anche nei migliori gruppi, ci si può trovare in disaccordo, discutere, respingere un corteggiamento, litigare fino alla decisione di abbandonare la compagnia. Se ad incorrere in queste problematiche sarà uno dei fratelli, automaticamente, per solidarietà, verrà a trovarsi in difficoltà anche il secondo. Con la conclusione che entrambi resteranno senza amici.
Questo farà sì che per tutto il periodo della crisi, nessuno dei fratelli sarà in grado di dare una mano all’altro, magari invitandolo ad uscire con gente nuova, come potrebbe invece avvenire se ognuno avesse scelto di uscire con una propria, diversa compagnia.
2) Così come nascono, gli amori possono finire. I fidanzamenti sono fatti per conoscersi a fondo; pur essendosi scelti in un primo tempo, con la frequentazione non tutti scoprono d’essere veramente fatti l’uno per l’altra, per cui decidono di lasciarsi, ed è bene, una volta chiarite le motivazioni, che lo facciano al più presto, perché più a lungo si protrae la relazione, più doloroso risulterà il distacco.
E’ qui che si verifica spesso la cosa più spiacevole: il gruppo al completo, quasi sempre in buona fede, si schiera dalla parte della persona lasciata, quella che in quel momento appare più debole, abbandonando l’altra - che pure faceva parte della compagnia - nella più assoluta solitudine. Niente di più sbagliato! I problemi all’interno della coppia non sempre si conoscono, vuoi perché non tutti raccontano tutto, vuoi perché non tutti riconoscono i propri errori. E non sempre la decisione di chiudere, di lasciare, viene presa con leggerezza: a quel passo spesso ci si arriva dopo grande riflessione e molta, molta sofferenza.
La decisione di tagliar fuori qualcuno, di privarlo dell’affetto che si era conquistato nel gruppo, di lasciarlo solo coi suoi problemi, può rivelarsi una vera e propria mancanza di sensibilità o, per i credenti, di carità cristiana. Perché la solitudine è tremenda: solo chi ci è passato può dire quanto! Chi resta solo, triste e rannicchiato su se stesso, diventa facile preda della depressione e di altri malanni.
Credendo d’aver usato giustizia, poche persone si sentono responsabili di aver negato l’amicizia e di essersi dileguati proprio nel momento in cui la loro presenza era indispensabile, non ad uno solo, ma ad entrambi gli elementi che prima formavano coppia.
Dania