8 marzo: la festa di quali donne?

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da: Sabrina Lezzi, 08 marzo 2003 * "Liberi Pensieri"

 

8 MARZO: LA FESTA DI QUALI DONNE?

Non sarò tra le donne che festeggerà l’8 marzo, andando in qualche locale a mangiare una pizza o a vedere uno dei tanti streaptise. Non contribuirò a fare la felicità di chi ha trasformato questa festa in un affare commerciale. Sarò lusingata, ma non tanto, quando mi offriranno in dono una mimosa.

Questi righi non vogliono essere il delirio ossessivo di una femminista (non mi ritengo tale), così come dice spesso chi non vuole comprendere, ma soltanto un viaggio, nel giorno dell’8 marzo, attraverso l’universo delle donne, verso cui, da donna, noto spesso una sorta di strumentalizzazione, accompagnata dalla paura e, forse, anche dall’incapacità di capirne la complessità. Ma il mio viaggio non potrà non toccare anche i diritti calpestati.

Non sposerò mai la tesi di chi ritiene che noi donne siamo migliori degli uomini perché credo, invece, nell’alterità uomo-donna e nella loro complementarità. Ma alterità non significa essere etichettate sempre e soltanto come il sesso debole, semmai riconoscere che noi donne prima degli uomini abbiamo compreso l’importanza dei sentimenti. E dare spazio ai sentimenti non significa essere deboli, tutt’altro. Forse anche gli uomini dovrebbero imparare a sviluppare la loro dimensione femminile.

Complementarità non significa che noi donne dobbiamo fare soltanto le mamme, perché questo è il ruolo che ci è stato assegnato. Dobbiamo fare soprattutto e anche le mamme, ma non "soltanto". Perché, in tal modo, si rinuncia, a priori, a riconoscere la nostra forza, il nostro coraggio, la nostra determinazione, il nostro senso di giustizia.

Se si dimentica o si sottovaluta il concetto di complementarità, noi donne saremo sempre portate a snaturare la nostra componente femminile, dando spazio paradossalmente a quel maschilismo contro cui lottiamo; gli uomini ci costringeranno, a loro volta, a combattere per avere delle opportunità, per esprimere i nostri talenti e le nostre capacità, per non dover per forza rinunciare a qualcosa. Mi sembra banale dire che noi donne dobbiamo fare qualunque cosa due volte meglio degli uomini, per essere giudicate brave la metà. Banale dire che molti uomini poco intelligenti non ci ritengono mai all’altezza della situazione. Banale dire che per avere un maggiore peso politico non basterà avere modificato la nostra Costituzione. E potrei continuare ancora, ma incorrerei nell’errore di vittimizzarmi eccessivamente. E farei il gioco di quelle donne che festeggiano l’8 marzo senza conoscere nemmeno la storia di quella data, di quelle donne che prima dell’11 settembre 2001 non sapevano neanche che cosa fosse il burqua, di quelle donne che pensano che avere dei diritti significhi avere la libertà di uscire da sole per andare a vedere uno streaptise! E in questo modo si offende il significato profondo di quella festa. Si offende chi ancora lotta per vedersi riconosciuti i diritti più elementari. Si butta alle ortiche il lavoro di chi non vuole essere "migliore di", ma soltanto se stessa e non vuole sentirsi dire che noi donne finiamo sempre per essere le solite oche!

In questo giorno, io non mi sento di festeggiare e provo una grande tristezza nel vedere che, spesso, tutto si risolve nell’andare a cena tra amiche. Non sopporto che fioristi, industrie dolciarie e ristoranti debbano lucrare su una data che ricorda la morte di 129 lavoratrici tessili, che lottavano per i loro diritti. Per me l’8 marzo è solo una giornata di riflessione sulla condizione della donna. Un giorno per ricordare la strada che noi donne abbiamo percorso e per indicare quello che non va. Non rappresenta una "libera uscita", ma un monito a pensare e ad interrogarsi sui drammi che toccano le donne nel nostro paese e in ogni angolo del mondo. E mi viene da pensare all’infibulazione o alle donne lapidate perché accusate di adulterio, e, mentre ci penso, non posso fare a meno di ricordare tra una mimosa, una pizza e uno streaptise che, ogni minuto, 6 mila bambine rischiano di subire mutilazioni genitali e, nel mondo, 138 milioni di donne le hanno già subite. E come faccio a dimenticare le migliaia di ragazze-schiave che popolano le strade del nostro paese? La tratta della prostituzione è sotto gli occhi di tutti, ma sembra che nessuno voglia vedere il dolore di quelle donne. Come faccio a dimenticare tutte le vittime di stupri e sevizie sessuali? Solo in Europa, una donna su cinque ha subito una violenza, almeno una volta nella vita. Altro che mimose, con tutto il rispetto per Teresa Mattei che inventandosi una bella leggenda cinese, inesistente, fece diventare, nel 1945, questo fiore, povero e reperibile dappertutto, simbolo delle donne e della loro dignità, perché avrebbe dovuto rappresentare il calore della famiglia e la gentilezza femminile.

Se continuo a pensare, mi rendo conto che è giunto il momento di ammettere che siamo arrivati ad un punto tale da dover, per forza, ricominciare tutto daccapo. E per fare ciò, il primo passo da compiere è il superamento dell’aspetto ludico-consumistico di questa ricorrenza. Che rimanga pure l’8 marzo a simboleggiare la festa della donna! Ma in questo giorno e negli altri 363 dell’anno, è importante, soprattutto, riflettere e far riflettere. Impegniamoci a fare sentire la voce delle donne in ogni momento della nostra vita familiare, politica e sociale, senza, però, dimenticare mai la complementarità uomo-donna. Impegniamoci a dare voce anche a chi, nel resto del mondo, non ce l’ha. Perché la libertà femminile è la misura della libertà di tutti. Un’idea semplice, eppur difficile!
Sabrina Lezzi