NON VEDO, NON SENTO 
OVVERO i conflitti dimenticati

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 da: Sabrina Lezzi, 20 luglio 2002 * "Liberi Pensieri"

 

NON VEDO, NON SENTO OVVERO I CONFLITTI DIMENTICATI

La maggior parte della gente è convinta di essere informata su tutto ciò che di importante accada nel mondo.

Ci facciamo trascinare dal torrente dell’attualità e accettiamo le cose, così come ci è sempre piaciuto sperare che fossero. Di solito, riteniamo più comodo, anche, non porci domande.

Capita, però, che di fronte ad un quesito del tipo "In quali paesi del mondo si sono svolti conflitti armati negli ultimi cinque anni?" meno di un italiano su cento sappia rispondere e, in questo modo, scopriamo  che in molti paesi si muore senza che nessuno lo sappia.

In una recente ricerca della Caritas sui conflitti dimenticati, ovvero quelle guerre che si consumano nell’indifferenza generale, il 60% degli italiani ha ammesso di essere scarsamente informato sui grandi conflitti internazionali.

Oltre all’Iraq, all’Afghanistan, al Medioriente, al Kosovo, ai Balcani ci sono, infatti, conflitti di cui nessuno parla, ma che hanno "contribuito" ad uccidere, dal dopoguerra ad oggi, 27 milioni di civili ( 2 milioni di bambini solo dal 1990 al 2000) e a procurare 35 milioni di rifugiati.

Sono guerre che l’informazione pilotata trascura perché in questi posti le strategie dei grandi non hanno interesse ad attecchire. Per loro nessuno ha interesse a combattere, e preciso che uso il termine "combattere" non al fine di giustificare un intervento militare, quanto perché ritengo che sia necessario dare più spazio e più eco anche agli "altri conflitti".

Ci sono posti dove il conflitto inizia per futili motivi come nelle Molucche. Agli inizi del ’99  un autobus condotto da un autista cristiano ha investito un ragazzo mussulmano. Ne è scoppiata una guerra di religione con l’intervento dell’esercito indonesiano che ha finito per prendere le parti dei mussulmani.  Le violenze estese a tutto l’arcipelago hanno causato oltre 5 mila morti e mezzo milione di rifugiati.

Cifre più drammatiche si ricavano osservando il conflitto in atto in Aceh ( Indonesia). Solo negli anni 90 si sono contati 50 mila morti, 40 mila desaparacidos e migliaia di casi di torture e stupri perpetrati dalle truppe speciali di Giakarta che, per reprimere la rivolta separatista del movimento islamico Aceh Merdeka (Aceh Libero), hanno commesso atroci violenze contro la popolazione civile dei villaggi della zona.

Nello Sri Lanka, invece, dal 1983 la minoranza Tamil (Indù) ha iniziato la lotta armata per l’indipendenza contro la maggioranza cingalese (Buddista). Il conflitto ha già provocato oltre 70 mila morti e 800 mila profughi (tutti Tamil).

Per non dimenticare l’Africa, teatro di mille conflitti ignorati dalle istituzioni, dai media e dall’opinione pubblica.

Angola, Sierra Leone, Liberia, Congo, Sudan, Ruanda, Burundi, Somalia, Eritrea ecc. sono alcuni tra gli Stati messi in ginocchio dalle lotte etniche. In Burundi dal 1993 le vittime sono state più di 500 mila su 6 milioni di abitanti. Qui la lotta armata vede coinvolta la maggioranza "Hutu" (85%) contro i "Tutsi" che rappresentano il 14 % della popolazione, ma detengono il potere.

La Repubblica Democratica del Congo è sconvolta dalla violenza dal 1997. La guerra mondiale africana, come è da alcuni definita, vede combattere sul territorio congolese ben sei paesi per il possesso dei giacimenti di diamanti e oro. Sono 350 mila i caduti. La cifra sale a 2 milioni se si considerano i morti per la carestia e le malattie causate dal conflitto.

Questi pochi esempi per dimostrare che esistono guerre di cui si sente parlare troppo poco. Colpevoli di questa disinformazione tutti ma, soprattutto, i media e la stampa nazionale. Esiste, inspiegabilmente, una sproporzione tra le informazioni date per le guerre che si combattono in Afghanistan o in Medioriente ( giusto per fare un esempio attuale) e quelle che ho definito gli "altri conflitti". Esistono guerre di serie A e guerre di serie B.

Ma chi manifesta sdegno a qualsiasi livello, dal politico al comune cittadino, per i morti palestinesi, afghani, israeliani ( spesso anche questi ultimi sono stati considerati morti di serie B) non dovrebbe imparare a farlo anche per i congolesi, i Tamil e gli Hutu? Credo di sì.

Ognuno di noi dovrebbe imparare a impegnarsi seriamente per la difesa di altri popoli. Ognuno di noi dovrebbe imparare a credere nella pace e a sostenerla così come fanno missionari, preti, suore e laici, spesso uccisi in paesi in guerra, perché in prima linea nel denunciare e nell’opporsi alle ingiustizie. Uccisi perché portano un po’ di speranza in paesi dilaniati da conflitti che, in molti casi, non “meritano” l’attenzione dei grandi.

Ma ogni persona morta, in uno qualunque dei conflitti che si combattono nel mondo, aumenta la vergogna di chi assiste passivamente e in silenzio a queste tragedie.

Concludo questo mio intervento con dei versi di Primo Levi, nella speranza che aiutino tutti a riflettere un poco: “Voi che vivete sicuri/ nelle vostre tiepide case,/ voi che trovate tornando a sera/ il cibo caldo e visi amici:/ considerate se questo è un uomo/ che lavora nel fango/ che non conosce pace/ che lotta per mezzo pane/ che muore per un sì o per un no./…Meditate che questo è stato…/.

E continua a essere ancora! Anche laddove non vogliamo né vedere né sentire.
Sabrina Lezzi