Liberi pensieri: crescere sul piano umano

stampa - torna - chiudi...

 

di Alessandra Lezzi (23.febbraio 2001)

Ho scoperto da poco il sito di Veglie. Mi complimento con gli ideatori-realizzatori soprattutto per l'iniziativa che rappresenta, a mio parere, la naturale evoluzione tecnologica del vecchio luogo di incontro e scontro che era la piazza, luogo attraverso cui passavano tutte le notizie del paese, da cui si diramavano e a cui ritornavano ritoccate, abbellite, ingrandite e fornite di interpretazioni e commenti vari. Per fortuna il progresso, coadiuvato dalla velocità, ci permette di far circolare le nostre opinioni in modo più chiaro e diretto; in questa piazza virtuale le nostre parole scritte possono essere rielaborate difficilmente ma, se da un lato godiamo della trasparenza delle notizie, dall'altro paghiamo il prezzo dell'allontanamento fisico e ciò va a tutto vantaggio dei timidi come me che approfittano quasi esclusivamente di queste occasioni per dire qualcosa.

L'iniziativa di " Veglie-on-line " è un validissimo modo per scrollarci di dosso quel provincialismo che ci ha alienati per tanto tempo, si suppone, infatti, che il sito, oltre ad essere accessibile a tutti gli utenti del mondo, sia visitato da vegliesi che navigano in rete e quindi sono più aperti e pronti a fruire del "nuovo" e del "diverso" (e questo mi sembra sicuramente l'aspetto più interessante!).

Ho comunque parlato di provincialismo che, come quasi tutti gli ismi, ha un'accezione negativa e sono convinta che nel nostro paese ci siano ancora molti ismi legati fra di loro su cui vale la pena riflettere: conformismo e maschilismo ad esempio... parole dal suono antico che molti mi contesteranno, soprattutto alla luce delle tante iniziative rivolte alla crescita del paese da parte delle istituzioni e delle piccole associazioni vegliesi. Eppure, se è vero che bisogna partire dal singolo per cambiare la società, trovo che in molti "singoli" (anche e soprattutto) giovani vegliesi, siano ancora radicati alcuni di questi concetti. Come guarire?Attraverso la cultura, attraverso il dibattito, abbandonando gli schemi politici nei quali il paese ci obbliga a schierarci per essere qualcuno, aprendoci al mondo. La mia non vuole essere una critica ma una riflessione; nel ventunesimo secolo, nell'era di internet e di quello che a molti sembra il migliore dei mondi possibili, nella nostra realtà di provincia del sud sopravvivono ancora opposti che sembrano inconciliabili. Voglia di cambiare e rassegnazione, generazioni lontane anagraficamente che condividono gli stessi interessi, idee progressiste e mentalità conservatrice, passato e presente convivono in luoghi senza tempo e uomini e donne, in molti casi, occupano spazi delimitati inaccessibili gli uni agli altri. Non so se osservare il tutto col sorriso di chi considera il provincialismo un fattore culturale da salvaguardare nell'era della globalizzazione o con la rabbia di chi non riesce ad accettare i luoghi comuni e le consuetudini radicate senza una consapevole accettazione!

Ma il fatto è che noi uomini del sud il provincialismo lo amiamo, amiamo i ruoli che la società ci impone di osservare e non sopportiamo l'anonimato, preferiamo essere etichettati ma sempre nell'ambito di un contesto preciso. La provincia vive di soprannomi e di frasi storiche pronunciate da noi stessi e ci obbliga a portare una maschera difficile da togliere!

Provincialismo sono gli incontri quotidiani fra le casalinghe troppo impegnate ad occuparsi della cucina, della pulizia, del marito e dei figli e dimentiche di se stesse e della loro dignità di donne pensanti; troppe giovani donne si ingabbiano in un ruolo che dà poche soddisfazioni nel tempo, uscendo poi dalla porta del retro. Provincialismo sono i bar aperti fino a tardi dove si vede la partita di calcio lanciandosi anche insulti di ogni tipo per poi offrirsi un caffè in nome di un'amicizia che in realtà non si sceglie ma che si condivide nella quotidianità, nella monotonia, nei silenzi e nelle discussioni animate, un'amicizia che rafforza all'interno del gruppo e che identifica. Ci si siede al bar per osservare la vita del paese che passa davanti agli occhi con  lentezza meridionale, ci si interroga di fronte ai volti nuovi e si trae spunto per dar spazio ai pettegolezzi. Che provincialismo sarebbe senza pettegolezzi? Senza questo disperato bisogno di vivere la vita degli altri, chissà perché poi, sempre più interessante della nostra!?

I giovani di paese, a volte, animano le loro serate prendendo in giro il giullare di corte, lo scemo del villaggio. Ogni provincia ha il suo strano personaggio e ogni strano personaggio ha i suoi aguzzini annoiati che trascorrono la loro bella mezz'ora di svago sbellicandosi dalle risate nel sentire gli sproloqui del malcapitato o nel vederlo barcollare davanti alla porta di casa mentre non riesce a trovare il buco della serratura ubriaco di infelicità e di solitudine.

In provincia si vive con poco, si pretende poco, si ride con poco, si piange con poco... si sogna molto: città frenetiche, paradisi lontani, realtà dinamiche... siamo tutti pronti noi giovani a crederci diversi in altri contesti ma siamo incapaci di cambiare quello in cui viviamo. La provincia è una culla ed una gabbia che abbiamo costruito intorno a noi e nella quale ci sentiamo protetti e costretti.

Allora, prima di invocare progresso economico e crescita del paese, riflettiamo sulle nostre abitudini, su quanto noi giovani siamo simili ai nostri padri; partiamo da noi stessi, non convinciamoci che i compiti spettino sempre alle istituzioni, non chiudiamoci nel paese e non agiamo in nome di un campanilismo anacronistico nell'era dello scambio e del confronto fra le culture. Impariamo a chiederci ogni tanto se siamo felici, impariamo ad amare noi stessi senza leccarci continuamente le ferite di una vita che non ci soddisfa, e, per farlo, impariamo ad amare prima di tutto i nostri concittadini "diversi" regalando loro un sorriso quando li incontriamo da soli senza il nostro gruppo di riferimento e non camuffiamo questa nostra reale incapacità di amare la vita dietro la maschera del pietismo, della religiosità domenicale e del volontariato d'elite che ci illude di dare qualcosa alla comunità. Per dare concretamente qualcosa alla comunità dobbiamo alleggerire le nostre idee dal peso delle certezze e degli schemi. Per crescere sul piano civile dobbiamo imparare a crescere sul piano umano attingendo da una nuova moralità e abbandonando i moralismi.         

 ALESSANDRA LEZZI