Cubo, fornelli, loculi e via discorrendo...

stampa - torna - chiudi...

da: Dania, 26 dicembre 2001 * "Liberi pensieri"

 Nel momento in cui sostituii l’arredamento della casa, non volli disfarmi di un carrellino porta-televisore al quale ero affezionata, ma, per quanto m’industriassi a trovargli una nuova collocazione, me lo ritrovavo sempre tra i piedi, perché nessun altro componente la famiglia lo voleva più.  Stanca della situazione, un po’ per protesta, un po’ per comicità, gli legai un guinzaglio e me lo trascinai avanti e indietro, da una stanza all’altra, per una giornata intera, accompagnata dall’ilarità dei miei.

 Se mai, passando da Veglie, mi capitasse d’intravedere una persona trascinarsi appresso un enorme cubo, saprei non trattarsi di Babbo Natale, bensì del Dottor Nicola Gennachi, reo di non aver saputo individuare prima di tutti, lui, dottore in medicina, le deficienze del progetto per la sistemazione di Largo San Vito. O, peggio ancora, d’aver soffermato la sua attenzione sul “polmone verde” piuttosto che sulla prospettiva.

 Ora, non citando né il Leopardi, né altri personaggi famosi, vorrei esprimere  il mio  modesto  punto  di vista,  derivato  dalle  esperienze del mio semplice modo di vivere.

 La stessa volta del carrellino, sostituii anche i mobili della cucina. Li ordinai su misura, perciò mi venne sottoposto il disegno, che approvai con entusiasmo. Per il fornello ad incasso scelsi la soluzione a sei fuochi, ma divisi in tre sezioni, (2+2+2) da poter utilizzare separatamente. Un’idea ben studiata; una soluzione estetica ottimale, che m’entusiasmò anche al momento del montaggio dei mobili.

Solo alla sera m’accorsi, io, che avevo approvato il disegno e che avevo applaudito al momento della consegna, che su quei fornelli mai avrei potuto cucinare per la mia famiglia: non vi era spazio sufficiente per pentole adeguate.

Demoralizzata al massimo convocai il mobiliere, il quale non poté che prendere atto della realtà dei fatti. Non mi disse “deficiente hai scelto tu”, ma studiò con me e col rappresentante della ditta dei fornelli una soluzione. La mia cucina ora ha sei fuochi, (2+4) ed è bella lo stesso.

S’è dovuta sostituire la lastra di marmo, ma ce l’ha rimessa lui, il mobiliere, riconoscendo che il fare cucine era il “suo” mestiere e che, pertanto, avrebbe dovuto accorgersi, ad occhio, che le misure non quadravano.

 Pensavo a quanto sopra, oggi, 20 dicembre 2001, alle ore 12,35 quando alla radio iniziava il programma “Beha a colori” di Oliviero Beha (www.olivierobeha.it), l’argomento ha attirato la mia attenzione ed è stato allora che ho iniziato a prendere appunti.  Riassumo:

 A quindici chilometri da Caserta sorge Caiazzo, un paese che conta seimila anime. Qui non si trovano a discutere sulla risistemazione di una piazza perché il loro problema sta nel cimitero, dove sono stati fabbricati loculi di misura inferiore alla misura delle bare. Non uno o due ma ben 268 già completati, e altri, almeno 400, in allestimento.

 Il Sindaco, interpellato telefonicamente, alla domanda di Beha: “Signor Sindaco, mi pare abbiate dei problemi con la misura dei loculi!” Rispondeva, seccato: “Chi gliel’ha detto?” E avrebbe negato, se il collaboratore del noto giornalista non si fosse trovato in collegamento dal cimitero, metro in mano.

Solo allora ha ammesso il problema, citando il 1985, la Dia, il Clan Alfieri, la precedente amministrazione.

 Sempre la vecchia amministrazione. Ma, le amministrazioni, non si cambiano per dare una svolta, per cambiare le cose in meglio?

 (Se passando da Caiazzo vedremo una persona trascinarsi appresso 668 loculi fuori misura, avremo individuato il cittadino che ha avuto la cattiva idea di criticare Sindaco e Amministrazione comunale, alla radio per di più!).

 Ma, torniamo a Veglie!

 Ho il pessimo vizio di voler sempre capire come si svolgono i fatti e d’immedesimarmi  nelle situazioni per cercare di comprendere, dalle parole e dai toni, gli stati d’animo delle persone.  Per questo leggo e rileggo su Veglieonline:

 Abbiamo l’intervento del dottor Gennachi, il quale, osservando via via  il modificarsi della “sua” piazza, scopre una nota stonata, che rischia di rovinare l’armonia dell’insieme. Lancia un grido d’allarme appellandosi al Sindaco e all’Assessore ai lavori pubblici ma, per non apparire magistrale lo fa in modo ironico. Non vuole la testa di nessuno: amando Veglie, chiede che quella piazza, patrimonio che durerà nel tempo e che parlerà di coloro che l’hanno voluta e costruita, sia resa vivibile e bella.

 E abbiamo la risposta risentita dell’Assessore, quasi attonita, tipica di chi, credendoci, s’è buttato anima e corpo nell’incarico politico assunto.  Si legge, infatti, un impegno serio e solerte e, se non esagero nel mio tentativo di comprensione, il desiderio di un  dialogo atto al superamento delle barriere partitiche.  Il tutto encomiabile.   Il guaio è, sempre a mio modesto parere, che tutto questo è stato superato dall’attenzione di portare a termine i lavori nei tempi prestabiliti e senza superare le spese preventivate, per dimostrare “l’efficienza dell’amministrazione”.

 Concedetemi di citare mia suocera che interveniva per consolarmi quando,  arrabbiata e sconsolata, disfavo diritti e rovesci non riusciti a modo:

 Mi diceva: “Non arrabbiarti. A lavoro ultimato tutti ti chiederanno chi  l’ha fatto e mai quanto tempo è stato impiegato per farlo!”

 E’  tutto  qua,  - così  io  ho  letto-   quel  che   il  Dottor  Nicola  Gennachi voleva dire.

 Perciò, se migliorare il progetto della Piazza –Largo San Vito è possibile,  mi auguro  il Signor Assessore ci metta mano.  Lo deve fare per Veglie e i suoi cittadini, ma soprattutto per se stesso. Una persona che lavora con scrupolosa serietà, ad opera ultimata, deve poter orgogliosamente dire: “questo l’ho fatto io!”   E mai: “Non è venuto un granchè, ma, tanto, l’ho avuto in retaggio dalla precedente amministrazione!”

 Dania