Don Giovanni Tondo: un sacerdote e, fortemente, anche un uomo

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da: Nicola Gennachi, 20 gennaio 2002 * "Liberi Pensieri"

 

Don Giovanni Tondo,

un sacerdote certamente e, fortemente, anche un uomo.

Molti lo hanno conosciuto come uomo di Dio per le sue creature.

I pregiudizi abbastanza diffusi nei confronti dell'uomo di culto, frequentemente, sminuiscono l'entità del contributo dato per la crescita della comunità cittadina, anche in senso laico.

Don Giovanni è stato un personaggio del nostro paese cha ha saputo interpretare quella componente laica presente nel cristiano, come pochi lo sanno fare.

Non voglio parlare della figura sacerdotale di don Giovanni perché altri possono farlo in modo più completo, né ricordare la grandezza del suo operato che resterà segreto dei nostri intimi ricordi.

Vorrei tentare di illuminare alcuni aspetti dibattuti della figura di educatore   che hanno positivamente influenzato generazioni di giovani.

Era uno di quegli uomini che aveva provato sulla propria pelle quanto l'ignoranza sia alla base di ogni povertà. Partiva da qui l'intelligente ricerca sulle diverse forme di povertà che lo circondavano e, negli anni, ne individuava sempre di nuove.

Qualcuno lo definiva ostinato: niente di più sbagliato. Gli sono stato molto vicino tanto da poter vedere la diversità di lungimiranza esistente tra lui e noi altri; la sua penetrante intelligenza arrivava là, velocemente, prima che noi potessimo intravederne l'esistenza di un generico qualcosa di nuovo; questo non era dovuto alla diversità di età o di esperienza, ma era una dote che gli apparteneva e che con estrema semplicità metteva a disposizione di chi gli era vicino, sembrava dicesse: guardate come è facile, imparate, questo è permesso a tutti. Non era ostinato, ma dotato di un forte intuito che gli permetteva di intravedere necessità e problemi che a noi sfuggivano. I miopi eravamo noi. Lui cercava di farci vedere lontano, molto più lontano di quanto ci era consentito dalle nostre capacità; in questo non si stancava mai.

Qualcuno diceva conservatore. Stento a crederci.

Diecimila abitanti, un "paese dall'aria greca" diceva il Bodini nel '51 dove le "donne, vestite di nero uscivano dalla chiesa con la sedia portata da casa". Era questo il nostro Veglie progressista? Era fortemente conservatore il nostro paese e, sebbene si fosse tentato di cambiare qualcosa, la zavorra dell'ignoranza aveva frenato e distrutto ogni tentativo di cambiamento.

Sempre attento ai cambiamenti e sempre pronto a viverli in funzione di quanto gli permetteva l'umana disponibilità di chi lo contornava.

Qualche esempio:

1968, anni di contestazione ma anche di scoperta della forza del sapere. Don Giovanni, durante la messa della notte del Sabato Santo, in chiesa, permette ad un gruppo di giovani, "Gli atomi del sud",  l'esecuzione di musiche "moderne" suonate con strumenti elettronici; qualcosa di impensabile a Veglie in quegli anni. Scandalo? Per alcuni. Per lui niente di eccezionale, aveva intuito il bisogno di cambiamento che in tanti modi veniva chiesto dai suoi paesani e aveva risposto con tanto coraggio da affrontare le critiche più severe. Ma era un bisogno dei giovani esprimere quanto loro avevano appreso anche in ambienti in cui certa musica e certi strumenti erano banditi. I giovani contestatori, nella loro parte migliore, in chiesa.

Stessi anni nella sala parrocchiale, "Lui" non faceva certamente il solito catechismo, le nostre esigenze di giovani, saggiate dalla sua sensibilità, erano ben altre. Si, nella sala parrocchiale, molti di noi vegliesi che oggi occupiamo posti di una certa responsabilità nella vita cittadina, discutevano con lui del materialismo di Marx, dei suoi limiti e delle esigenze spirituali dell'uomo; discutevamo dell'esistenza di Dio e della sua negazione senza scandalismi di sorte: tutto questo a Veglie, un paese di dieci mila abitanti ecc. Erano questi i numerosi figli dei contadini, degli artigiani e dei vari operai che, essendosi impossessati di alcuni brandelli di cultura, si incontravano nella sala parrocchiale per crescere nel confronto e nello scambio di idee, sotto la presenza di un moderatore che non incuteva timore ma rispetto per la sua capacità, per la sua imparzialità per la sua versatilità.

E' un prete, diceva qualcuno; no, è un uomo che fa il prete e questa sua appartenenza all'uomo non l'ha mai dimenticata come neanche ha mai dimenticato la sua appartenenza a Dio. Riusciva ad interpretare, senza pregiudizio alcuno, questo suo duplice aspetto in modo distinto ed equilibrato. Uomo laico, se l'aspetto del problema era laico, uomo di fede, di una profonda quasi innata fede, se l'aspetto riguardava lo spirito. Pronto sempre ad ascoltare e solo su richiesta esplicita a consigliare; mai consigli astratti, sempre concreti che nascevano dalla sua esperienza di vita.

Ad un ragazzino di prima media che gli consigliava di usare la forza per far sì che alcuni suoi coetanei frequentassero la parrocchia rispose: "gli uomini sono degli esseri liberi e liberamente devono scegliere". Era il 1962, quasi mezzo secolo fa.

L'amore per la sua Veglie non riusciva a nasconderlo.  In una sottile distinzione, ad un'altra obiezione di un ragazzo: "Don Giovanni la parrocchia ha un suo nuovo campanile" rispose: "La parrocchia ha le sue campane, Veglie ha un altro campanile". E poi  un giornale "Veglie nostra" e poi la sua lirica per Veglie, omaggio  fatto con amore al suo grande paese, "Litrattu ti Eie". Quanta passione, quanta perizia nello scrivere questo capolavoro di poesia dialettale per il suo paese.

Potrei dire ancora  molto altro, ma tutto continuerebbe a evidenziare l'impegno di quell'uomo che col suo abito nero e il suo cappello da prete sfrecciava le vie della parrocchia con la sua bicicletta, rispondendo al saluto con un sorriso e una scampanellata quasi volesse dire: vieni, corri insieme a me e gioisci se la vita ti chiede tanto e tu pensi di dare poco.
Nicola Gennachi