Otto marzo: festa della Donna?

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da: Gennachi Nicola, 08 marzo 2001

Così si dice: l’otto marzo sarà la festa della donna.

Vedremo donne che finalmente raggiunta la loro libertà, la loro parità di diritti nei confronti dell’uomo, annoiate, spogliate temporaneamente di quella capacità creativa che è dote spesso non riconosciuta della donna, si troveranno in qualche pizzeria o qualche pub per trascorrere una serata diversa, dicono, in assenza dell’uomo. Si solo tra donne ma si sa, poi, che la serata finirà con un luogo comune fortemente maschilista: lo spogliarello, per questa volta, vista l’eccezionalità della circostanza, sarà uno spogliarello al maschile.

Evviva le donne! Evviva le nuove donne fecondate a loro insaputa dal più squallido e approssimativo germe del maschilismo; evviva la falsa rivoluzione delle donne; evviva il maschilismo al femminile.

No, no ci credo. La donna che voleva conquistare la su autonomia, la donna che poteva finalmente riequilibrare il secolare rapporto uomo-donna, cade nuovamnete vittima della schiavizzante cultura maschilista.

Peccato.

Si sperava in una “perestroica”femminile ma, niente di fatto. Aspetteremo ancora che una intelligenza femminile, rifiutando con fermezza questo nuovo, quanto stantio, comportamento maschile di uomo devoto, sottomesso e servitore solo per la mezza giornata dell’ 8 marzo, imponga un nuovo rapporto paritetico, dignitoso e di rispetto reciproco con l’uomo. Un sogno? Un’utopia? Penso proprio di no se potessi evidenziare tutte quelle situazioni in cui il rapporto uomo-donna non è visto come contrapposto, come subalterno, ma come una naturale complementarietà in cui uno possiede qualità specifiche indispensabile all’altro e viceversa.

Potrei fare qui un elogio alla donna accodandomi al gran bla bla di questi giorni, ma servirebbe a ben poco e sarebbe poco dignitoso.Ogni uomo dovrebbe imparare a fare e  ogni donna dovrebbe imparare a pretendere,  quotidianamente,  nei diversi modi e con i diversi mezzi che il vivere quotidiano ci pone davanti il rispetto della dignità della persona che ci sta accanto: sarebbe una festa continua e non uno sporadico 8 marzo.

Ma non posso tacere la mia paura quando penso che la maggior parte delle donne, nel festeggiare il loro giorno di festa, non avranno neanche un pensiero di solidarietà per le donne afgane.

Preoccupa nel sapere che sono le donne a pagare per prime nel processo di demolizione delle più normali regole della vita, quando queste vengono sostituite da un ordine basato sul terrore e sulla negazione dei più elementari diritti dell’uomo, quelli cioè non scritti su nessuna carta costituzionale  appartenenti all’uomo in quanto uomo.

A fare la spesa di questo assurdo destino sono le donne, che, secondo una logica simile a quella usata dai nazisti nei lager, vengono annullate in quanto individui, non solo privandole di qualsiasi autonomia intellettuale e materiale, ma, soprattutto, cercando con l’uso sfrenato del terrore, un consenso al proprio stato di schiavitù. In questo modo le donne sono state espulse dalla vita pubblica e costrette ad abbandonare il lavoro, obbligate a portare il burqa, un velo integrale che non fa trasparire nemmeno i loro occhi e che copre tutto il corpo non lasciando scoperte neanche le caviglie.
L’assistenza medica spesso è vietata perché i contatti tra uomo e donna sono severamente controllati e questo, oggi come oggi, sta portando al suicidio o alla pazzia moltissime donne afgane costrette, perché il non obbedire si trasforma automaticamente in pena di morte, a una non vita senza alcuna prospettiva non tanto di un miglioramento, quanto piuttosto della speranza, almeno, di sopravvivere.

Scusate donne se partecipo alla vostra festa con questo pomo della discordia, ma per me quelle sono donne come voi, che valgono quanto voi che soffrono quanto voi,  ma che non andranno mai in pizzeria con le loro amiche per festeggiare l’8 marzo.

 Nicola Gennachi