Le verità nascoste

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da  Raffaele Alemanno, del 23 maggio 2001

CSEKA (Comitato Straordinario), GPU (Autorità Statale di Polizia), OGPU (Autorità Unita Statale di Polizia), NKVD (Commissariato Popolare di Affari Interni), NKGB (Commissariato Popolare di Sicurezza Statale), MVD (Ministero degli Interni), MGB (Ministero di Sicurezza Statale). Queste sono le sigle delle organizzazioni che dal 1917 nella Russia bolscevica servivano per vegliare il potere di Stalin, vere e proprie squadre di esecuzione che dovevano seminare paura e terrore. Nel marzo del 1954, tutte queste sigle sono state sostituite dal Comitato di Sicurezza Statale oggi conosciuto come KGB.

Queste organizzazioni a partire dal 1918 nel lontano nord di una Russia sempre più bolscevica realizzano i primi lager, sì proprio i campi di concentramento che i signori storici fino ad oggi hanno associato solo ed esclusivamente al Nazionalsocialismo, ed invece i campi di internamento e di lavori forzati sono presenti anche durante il bolscevismo. In questi campi una parte di detenuti lavorava in condizioni di schiavitù, il resto, dopo torture ed interrogatori, veniva fucilato o affamato lentamente a morte.

Con il passare del tempo i bolscevichi hanno capito (non ci crederete ma a questo punto avevano un cervello anche loro) che conveniva far schiavizzare i detenuti e che questo sistema sarebbe diventato presto uno dei rami fondamentali della nuova economia popolare; così facendo si gettavano le fondamenta dell’economia della società comunista. Contemporaneamente, grazie a quelle organizzazioni citate sopra, in tutto il paese si seminava paura tra la popolazione, liberandosi facilmente degli elementi poco grati.

Le condizioni disumane all’interno di questi campi insieme al comportamento spietato delle guardie, causava la morte dei detenuti, che venivano subito sostituiti con altri schiavi. In aiuto di questi lager c’erano le corti popolari e militari e i comitati straordinari degli organi di sicurezza statale, che in base al paragrafo 58 del codice penale Dzerzinskj del 1926 prima, e di quello di Visinskij del 1931 poi, punivano i torti politici. Questo paragrafo era composto da 15 punti e andava dal "tradimento evidente della patria" alla "propaganda antisovietica" al "sabotaggio, controrivoluzione di economia". Per essere condannati non era necessario aver portato a termine uno di questi 15 punti, bastava solo l’intenzione per essere eliminato dalla società.

Uno dei popoli che più ha sofferto la ferocia bolscevica e stato quello Ungherese e già dal 1944 migliaia di Ungheresi furono condannati a morte. Uomini e donne uccisi con delle false accuse, per sospetto o per il solo scopo di intimorire la popolazione. Le vittime, catturate in vari modi, non avevano possibilità di difesa e le accuse che duravano solo pochi minuti venivano pronunciate nella sconosciuta lingua russa; toccava poi alla sorte la decisione di essere condannati ai lavori forzati o alla morte.

Queste deportazioni continuarono anche dopo la guerra, l’Ungheria infatti eliminava gli elementi poco gradevoli alla società, condannandoli ai lavori forzati. Bisogna aspettare il 1955 per vedere liberi questi ex prigionieri non più accusati ingiustamente come è stato fatto per ben quarant’anni.

Incredibilmente anche se, per legittima difesa, si sparava e uccideva un soldato sovietico la si considerava un’azione terroristica imperdonabile.

Questa è una delle tante sintesi storiche che finalmente vengono alla luce. Io ho sempre creduto che la storia sia anche questa e non solo quella raccontata dai Camera Fabietti o da Rai Tre.

A me leggere queste righe sinceramente fa venire i brividi e altro non posso fare, anche se serve a poco, che onorare chi è morto per la ferocia bolscevica.

Mi auguro che, come me, anche altri non credano alle menzogne che per cinquant’anni hanno riempito le pagine della storia del dopoguerra in Italia e nel mondo.

Concludo ricordando a chi da sempre la storia l’ha raccontata per un tornaconto personale o elettorale che: "CINQUANT’ANNI DI MENZOGNE, NON CANCELLANO L’IDEA!".

                                                    Alessandro ALEMANNO