LETTERA
SULLE ELEZIONI
Caro Tommaso,
siccome sei nato appena il 19 agosto, hai ricevuto una lettera dal
Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi con un grosso bacio e 1000
euro. Il bacio è gratis, ma i mille euro servono per avere
il voto dei tuoi genitori, che vuol dire 500 euro a voto, e con le
casse dello Stato si può fare, data anche la scarsa
natalità. Anche questo è un contratto, tanto
è vero che la tua babysitter, che l’anno scorso ha
avuto un bambino, ha ricevuto anche lei la lettera di Berlusconi, ma
non i mille euro, perché è somala e non
può votare, e anche Tremonti dice che bisogna evitare le
spese improduttive. Nel suo caso, ci sarebbe stato un arricchimento
senza causa.
Poiché i tuoi genitori sono persone oneste, non hanno
ritirato i mille euro, e votano come gli pare. Anzi hanno messo in
cornice la lettera di Berlusconi, come si fa con i cimeli storici.
Tu hai avuto la grazia di venire alla luce in un mondo che non
è mai stato così attraente. Le sue bellezze si
sono moltiplicate, le ricchezze pure, gli abitanti sono più
numerosi che mai e tutti, a volerlo, potrebbero essere in grado di
vivere e di godere la Terra; i re e i principi dei secoli passati
stavano molto peggio di te quanto a cibo, acqua, caldo, freddo, salute,
mobilità, conoscenze disponibili e aspettative di vita. Se
non mancasse l’amore, per cui agli uni è tolto
ciò che agli altri è dato, davvero questo sarebbe
un mondo meraviglioso.
Un gioco
d’azzardo. Però tu sei nato anche alla
vigilia di un grande gioco d’azzardo. In questo Paese stiamo
per andare a una roulette, in cui in una sola giocata è
messa in palio tutta la posta: la giustizia, i diritti, il lavoro, la
pace, il dialogo tra le civiltà e la Costituzione
repubblicana che il governo e la maggioranza parlamentare hanno fatto a
pezzi già cinque volte (in altrettanti voti delle Camere) e
infine liquidato per togliere il potere ai cittadini e allo stesso
Parlamento. Infatti il sistema politico si è venuto a
congegnare in modo tale che un normale ricorso alle urne per eleggere i
rappresentanti, si è trasformato in un aut-aut, nel quale
tutto si può perdere e tutto si può salvare. In
questa consultazione elettorale ci possono essere, perché
così ha voluto la recente riforma, solo due programmi e due
schieramenti in grado di competere per il premio di 340 deputati
assegnati per legge al vincitore. “Tertium non
datur”, come dicevano i latini. Tutta la società
è costretta a dividersi in due, nonostante la
varietà di bisogni, di interessi e di ideali da cui la
mediazione politica e parlamentare dovrebbe estrarre il “bene
comune”.
L’intenzione che da più di un decennio ha spinto
il sistema elettorale e politico verso un così rigido
bipolarismo era buona, perché si trattava di realizzare un
regime di alternanza, come c’è in altre
democrazie, soprattutto anglosassoni. Però non si
è tenuto conto della natura della destra italiana, che
quando non è trattenuta in un più vasto tessuto
di relazioni democratiche e si presenta allo stato puro, si fa
eversiva, come ha fatto nel tempo producendo fascismo, P2, tentativi
golpisti e pulsioni secessioniste. L’esperienza di questi
anni ha mostrato che la forzatura dell’elettorato a
concentrarsi e a contrapporsi in due sole parti politiche, ha fomentato
una cultura del conflitto e del nemico, ha imbarbarito la lotta e ha
portato al rischio di consegnare il Paese a una fazione di guastatori.
L’Italia ha avuto altri momenti in cui con la destra si
è giocato d’azzardo; uno di questi fu nel 1925,
quando per la prima volta fu instaurato per legge (e non per
rivoluzione) un “governo del Primo Ministro”. Ai
bambini che nacquero quell’anno non andò poi bene;
ne conosco che a 18 anni finirono in guerra o furono presi dai Tedeschi.
Dunque non ci si può distrarre, e bisogna prendere
il proprio posto in una delle due parti in conflitto.
Berlusconi.
Le ragioni per porre termine drasticamente
all’esperimento Berlusconi vanno molto al di là
delle inadempienze programmatiche e del dissesto dei conti e delle
istituzioni. Berlusconi aveva stipulato un contratto, di modello
privatistico, con il quale aveva acquistato un voto e aveva venduto un
sogno, quello di un Paese beato e di un arricchimento generalizzato. I
sogni sono preziosi. Un esponente della sinistra cristiana, Adriano
Ossicini, psicologo dell’infanzia, raccontava un giorno di un
bambino che aveva in cura, il quale gli aveva portato un sogno,
perché glielo custodisse e non andasse perduto. Berlusconi
ha tradito il sogno che aveva venduto e ora, con la sua parossistica
campagna politica, sta trasformando questo sogno in un incubo. Egli non
ama l’Italia, perché dell’Italia non ama
la magistratura, la Confindustria, le cooperative, l’80 per
cento dei giornalisti, i comuni e le regioni
“rosse” e tutta la sinistra, che considera una
“palla al piede” del Paese. Di conseguenza
preferirebbe che tutti questi non ci fossero, come Calderoli
preferirebbe che non ci fossero gli immigrati, e i coloni in
Cisgiordania che non ci fossero i palestinesi. Tuttavia li vuole
governare, il che vuol dire che vuole governare chi non ama, senza
averne il consenso e che perciò li può governare
solo assoggettandoli e riducendoli a sudditi.
In una trasmissione televisiva un consigliere di Berlusconi,
politologo, don Gianni Baget Bozzo, ha detto che ciò che
è in corso in questa campagna elettorale sarebbe un
“regicidio”, alludendo agli attacchi al premier e
alla rapida caduta del suo gradimento. Meno tragicamente avrebbe potuto
parlare di “deposizione del re”. In ogni caso senza
avvedersene Baget Bozzo, che è un buon conoscitore di
dottrine politiche, usando questa parola definiva il regime politico
che Berlusconi ha di fatto introdotto in Italia come un regime
monarchico: cioè il potere di un uomo solo, senza controlli,
senza alleati (infatti vorrebbe avere da solo il 51 per cento,
più il premio di maggioranza) e senza competitori; tale
potere sarebbe legittimato, come dice, dal fatto che “nessun
altro italiano ha fatto tanto per l’Italia” come
lui. Questa monarchia di fatto, viene trasformata dalla nuova
Costituzione elaborata a Lorenzago, in una monarchia di diritto. Il
premierato assoluto che vi è configurato,
l’emarginazione del Senato, la Camera dei Deputati spartita
in due sezioni, una Camera alta (formata dai deputati di
maggioranza che hanno “prerogative” negate a tutti
gli altri) e una Camera bassa (formata dai deputati
dell’opposizione che hanno solo il diritto di parola e i cui
voti sulla fiducia al governo non verrebbero nemmeno contati), il
Presidente della Repubblica esautorato, il “Primo
Ministro” che può sciogliere la Camera quando
vuole: tutto questo farebbe della Costituzione repubblicana uno Statuto
monarchico, anche se senza successione ereditaria, il che rappresenta
l’esplicita sconfessione dell’art. 139 della
Costituzione vigente, che poneva un limite insuperabile al
sovvertimento costituzionale, prescrivendo che “la forma
repubblicana non può essere oggetto di revisione
costituzionale”.
Dunque deporre Berlusconi e poi respingere nel referendum la
Costituzione scritta dalla destra sono due atti della stessa
operazione: salvare la Repubblica in Italia. Per i cittadini sembra
questo un interesse, oltre che un valore, assolutamente prioritario.
Come diceva un grande costituente, Giuseppe Dossetti, la Costituzione
italiana era stata generata da una grande tragedia storica, conclusasi
con la sconfitta del nazismo e del fascismo. Si può
aggiungere che essa, come tutto il costituzionalismo internazionale
postbellico, nacque perché la tragedia non avesse a
ripetersi, ciò che oggi non è affatto sicuro.
Nessun
capro espiatorio. Nell’agone per il ripristino e per
il rilancio dell’ordine democratico non deve figurare alcun
accanimento nei confronti di chi l’ha violato. In effetti
è tutta una classe dirigente, solidale nel potere oltre ogni
dissenso, e non una persona sola, che va giudicata. Ci si dovrebbe anzi
preoccupare che l’eccessiva esposizione mediatica di
Berlusconi non finisca per ricapitolare su di lui tutto il bene e tutto
il male, il che è un meccanismo ben noto nella fabbricazione
del capro espiatorio, come del resto già si intravede nel
comportamento dei suoi alleati, col rischio di far perdere di vista i
gravissimi danni da questo ceto politico provocati. Al di là
della provocatoria iperbole di Gianni Baget Bozzo, quanti amano la
convivenza civile non possono che opporsi all’ostensione di
figure che attirino su di sé ogni encomio ed ogni oltraggio.
Berlusconi si è messo in gravi difficoltà, fin
quasi a voler procacciarsi il dileggio, ma non per questo devono venire
meno il rispetto e la cura dovuti ad ogni creatura. Piuttosto deve
essere aiutato a uscire – e l’elettorato
può farlo – da una situazione divenuta
insostenibile, dato che per lui, con tutte quelle televisioni e quelle
aziende, la politica si è rivelata incompatibile con le sue
ricchezze, per quel conflitto sempre denunciato che altro non
è se non l’avverarsi dell’antico monito
secondo cui “nessuno può servire a due
padroni”.
Dove
stanno i cristiani. Molti
si chiedono dove stanno i cristiani in
questo confronto. Poiché la domanda fa riferimento a una
categoria religiosa e non politica, è evidente che la
risposta non è affatto scontata: possono trovarsi da ogni
parte. A volerli localizzare seguendo la pista indicata dal Vangelo,
bisognerebbe sapere dove hanno il loro tesoro:
“dov’è il tuo tesoro là
sarà anche il tuo cuore” (Mat. 6,21). Allora si
dovrebbe sapere qual è il tesoro di ciascuno, e
così si saprebbe dov’è il suo cuore e
anche il suo voto. E tuttavia nessuno ne potrebbe giudicare le
intenzioni, perché si potrebbe sbagliare.
Dunque, per sapere dove stanno i cristiani, bisogna ricorrere a criteri
più empirici. E qui sta la difficoltà.
Perché, a guardare ai due schieramenti, si ha
l’impressione di una situazione asimmetrica. Infatti in uno
dei due, quello di centro-destra, ci sono molti che si professano
“devoti”, atei o credenti che siano,
c’è un partito che si fa chiamare cristiano,
c’è chi rivendica a proprio favore
l’autorità della Chiesa e gode di frequentazioni
ecclesiastiche, e in tanti fanno a gara per accreditarsi come pronti a
tradurre in leggi le indicazioni della CEI. Nell’altro
schieramento, che Berlusconi sommariamente definisce la
“sinistra”, tutto questo non
c’è, i cristiani come tali non si fanno
riconoscere per nome; essi partecipano senza ostentazioni alla
condizione comune, mentre per contro vi sono piccoli gruppi e partiti
che per il meccanismo elettorale non potrebbero correre da soli, i
quali si rifanno a un acceso militantismo laico, o accelerano su temi
immaturi, pur sottoponendosi al vincolo di coalizione. Ciò
potrebbe far pensare che in tale schieramento i cristiani non ci siano
o non siano interessati a far valere con energia i valori in cui
credono. Ma così non è. Vaste aree elettorali e
ceti politici che si rifanno alle tradizioni del cattolicesimo
democratico e del cattolicesimo sociale sono presenti nel
centro-sinistra, sia nei partiti che si definiscono moderati, sia nei
Verdi, sia tra i socialisti, sia nelle sinistre che in diversi modi si
rifanno alla tradizione comunista, che del resto ha praticato a lungo
in Italia il dialogo con i cattolici. La Democrazia Cristiana non
c’è non perché sia stata dissolta da
“Mani Pulite” ma perché, fallito il
tentativo di Buttiglione di impadronirsene, interpretò con
rigore la fine dell’unità politica dei cattolici
sancita dal Concilio, e volle affermare una discontinuità
anche nel nome. Dunque i cristiani ci sono, parte costituente e
costitutiva della democrazia italiana, ci sono i cristiani nel
centro-sinistra, come sempre ci sono stati nella sinistra.
Che cosa
si sceglie. La scelta di schieramento è anche una
scelta per Prodi. Si tratta di un investimento su una competenza, su
una integrità politica, su un programma, non della fede in
un uomo, che non è cosa cristiana. È
però l’affidamento a una persona che per storia e
identità ha tutti i titoli per governare l’Italia
nei prossimi cinque anni. La scelta di Prodi, del resto già
esercitata nelle primarie, né ha l’intenzione di
accaparrarselo, né ha nulla a che fare con il
“culto della personalità”, estraneo alla
prassi democratica; però gli dà atto di aver
preso le difese della Costituzione repubblicana, ferma restando la
quale ci possono poi essere idee diverse sulla futura evoluzione del
sistema politico.
La presenza di cristiani nella sinistra e nell’Unione in
questa campagna elettorale non ha alcun carattere confessionale, e non
ha alcuna pretesa di coinvolgere le autorità della Chiesa,
che si vorrebbe anzi salvaguardare dal trovarsi coinvolte in questo
scontro. Tale presenza è però fortemente motivata
dalla percezione che tra il 9 aprile e il successivo referendum per il
mantenimento della Costituzione si decide il destino
dell’Italia e il suo ruolo nel mondo, e sono in gioco valori
supremi anche per la Chiesa, a cominciare dalla democrazia. Questo
aspetto è tenuto in ombra anche dal centro-sinistra, restio
ad ammettere il rischio di sistema; sicché nella campagna
elettorale ufficiale c’è molto furore polemico, ma
non affiora il dramma. Invece, come dice un allarmato Leopoldo Elia,
presidente emerito della Corte Costituzionale,
nell’introduzione al suo libro “La Costituzione
aggredita”, “ha torto chi, pur da cattedre
istituzionali autorevoli, invita a non drammatizzare”.
Così stando le cose, la natura del voto non consente di fare
scelte determinate su singoli problemi, TAV o PACS che siano. I temi
specifici che le autorità religiose hanno agitato
più di recente, riguardanti la traduzione legislativa di
specifiche istanze etiche, non sono oggetto immediato della attuale
contesa elettorale, che propone invece una scelta globale e seccamente
alternativa sui fondamenti stessi della convivenza civile e
perciò anche religiosa. Essi saranno oggetto con calma di
una seria mediazione politica, in cui posizioni diverse potranno
incontrarsi, essendoci sempre una soluzione cristiana, nella
laicità, che gli uomini di buona volontà possono
trovare anche sulle questioni più spinose e controverse.
Da che
cosa vi riconosceranno. Certo, sia su questi temi specifici che
nelle scelte di sistema, i cristiani hanno qualcosa da dire, e proprio
come tali, per l’utilità comune. È un
peccato, ad esempio, che non ci sia nessuno che dica che la
Costituzione ci preme proprio in quanto cristiani, non solo per le
ragioni validissime a tutti comuni, ma anche per ragioni più
proprie: per esempio per aver posto al fondamento della Repubblica il
lavoro, che Gesù ha assunto quando ha preso “la
forma del servo”, e quindi ha assunto il lavoro, che era
allora l’operazione estenuante ed esclusiva del servo; o per
aver stabilito nella coscienza, come ha asserito una famosa sentenza
della Corte Costituzionale, la fonte dei diritti fondamentali, e
perciò della stessa Repubblica, facendo quindi della
coscienza di ogni cittadino il vero luogo dove i desideri di Dio e i
diritti posti dall’uomo si incontrano; o per quella
centralità del Parlamento che affida l’esercizio
della sovranità del popolo non all’azione, alla
lotta, al potere, ma alla Parola, e perciò non ammette altro
modello di comunicazione pubblica tra gli uomini che il dialogo e
quindi la pace; ciò che fa della Costituzione la radice
dell’etica civile.
Sarebbe bello queste cose poterle dire anche proprio come cristiani; in
ogni caso, se non come cristiani, essi dovrebbero farsi riconoscere
come “Galilei”, cioè per
l’amore, così come nella sua felice enciclica
Benedetto XVI dice che Giuliano l’Apostata lo riconosceva e
voleva emularlo nei cristiani, da lui chiamati
“Galilei”, pur mentre voleva ristabilire i culti
pagani. E dall’enciclica si potrebbe ricavare un altro
criterio di identificazione per loro: quello di attribuire allo Stato e
alla politica, come unica “origine, scopo e misura”
il fare la giustizia, senza la quale uno Stato si riduce a
“un grande ladrocinio”; di intendere la giustizia
come il garantire a ciascuno la sua parte dei beni della terra; di
sapere che nella “nuova situazione” prodotta
dall’avvento dell’industria moderna, “il
rapporto tra capitale e lavoro è diventato la questione
decisiva”; e che se, come è avvenuto,
“le strutture di produzione e il capitale” si sono
affermati come “il nuovo potere posto nelle mani di
pochi”, comportando “per le masse lavoratrici una
privazione di diritti contro la quale bisognava ribellarsi”,
compito della società nostra, interna e internazionale,
è di offrire alla ribellione l’alternativa della
politica, della Costituzione e del diritto. Questo sarebbe allora il
modo e il luogo in cui i cristiani potrebbero essere riconosciuti.
Con
i più fervidi auguri.