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N. 03623/2012REG.PROV.COLL.

N. 09730/2011 REG.RIC





REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello nr. 9730 del 2011, proposto dal CONSORZIO AGRARIO SALENTO AGRICOLO, in persona del legale rappresentante pro tempore,rappresentato e difeso dagli avv.ti Giuseppe de Vergottini, Gianluigi Pellegrino e Luciano Ancora, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via A. Bertoloni, 44, 

contro

- il COMUNE DI VEGLIE, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Pietro Quinto e Angelo Vantaggiato, con domicilio eletto presso l’avv. Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 2; 
- il COMUNE DI SAN PANCRAZIO, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Adriano Tolomeo, con domicilio eletto presso l’avv. Federico Massa in Roma, via degli Avignonesi, 5; 
- TENUTE MATER DOMINI società agricola a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Saverio Sticchi Damiani, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via Bocca di Leone, 78; 
- i COMUNI DI PORTO CESAREO, SAN DONACI e SALICE SALENTINO, in persona dei rispettivi Sindaci pro tempore, rappresentati e difesi dall’avv. Pietro Quinto, con domicilio eletto presso l’avv. Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 2; 
- il signor Pasquale FRISENDA, la CGIL CAMERA DEL LAVORO TERRITORIALE DI LECCE, l’ASSOCIAZIONE SALUTE PUBBLICA, l’AZIENDA AGRICOLA FABRIZIA DEL BALZO, l’AZIENDA AGRICOLA PETITO FABIANA, il CONSORZIO DI TUTELA E VALORIZZAZIONE DEL VINO DOC SALICE SALENTINO, l’AZIENDA AGRITURISTICA TORRE DEL CARDO, l’AZIENDA AGRITURISTICA CASA PORCARA DI SOCIETÀ COSTANTINI S.r.l., l’AZIENDA AGRICOLA MEMMO LINA, l’AZIENDA AGRICOLA SAN GIOVANNI DI PETITO STEFABIA E PODO BRUNETTI SALVATORE S.s., la CONFEDERAZIONE ITALIANA AGRICOLTORI DI LECCE, LEGAMBIENTE COMITATO REGIONALE PUGLIESE, la PROLOCO DI VEGLIE e il COMITATO AMBIENTE SANO, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’avv. Carlo Mignone, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via Cola di Rienzo, 271; 
- l’ASSOCIAZIONE CONSUMATORI ORGANIZZATI, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Corrado Vecchio e Gianluigi Manelli, con domicilio eletto presso l’avv. Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 2;
- l’ASSOCIAZIONE ITALIA NOSTRA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Donato Saracino, con domicilio eletto presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;

nei confronti di

OIL SALENTO S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita, 

per l’annullamento e la riforma,

previa concessione di idonee misure cautelari,

della sentenza nr. 1484/2011 del Tribunale Amministrativo Regionale della Puglia, Sezione Terza di Lecce, pubblicata mediante deposito in Segreteria in data 4 agosto 2011 e notificata in data 6 ottobre 2011.



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Veglie e dei Comuni e altri soggetti interventori in primo grado in epigrafe meglio indicati;

Viste le memorie prodotte dal Comune di Veglie (in date 13 gennaio, 6 e 18 aprile 2012), dagli appellati CGIL e altri (in date13 gennaio, 28 marzo, 7 e 17 aprile 2012) e dall’appellata Associazione Salute Pubblica (in data 28 marzo 2012) a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, all’udienza pubblica del giorno 8 maggio 2012, il Consigliere Raffaele Greco;

Uditi gli avv.ti Ancora, de Vergottini e Pellegrino per l’appellante, l’avv. Quinto, in proprio per il Comune di Veglie e su delega degli avv.ti Vecchio e Manell per l’Associazione Salute Pubblica, l’avv. Vantaggiato, in proprio per il Comune di Veglie e su delega dell’avv. Mignone per gli ulteriori appellati, l’avv. Tolomeo, in proprio per il Comune di San Pancrazio e su delega dell’avv. Saracino per Italia Nostra, l’avv. Ernesto Sticchi Damiani, su delega dell’avv. Saverio Sticchi Damiani, per la società Tenute Mater Domini;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

Il Consorzio Agrario Salento Agricolo ha impugnato, chiedendone l’annullamento previa concessione di idonee misure cautelari, la sentenza con la quale il T.A.R. della Puglia ha respinto il ricorso dallo stesso proposto avverso il diniego opposto dal Comune di Veglie, in data 9 novembre 2010, all’istanza di permesso di costruire in sanatoria relativa ad un impianto di trattamento di sansa vergine sito nel territorio comunale, realizzato mediante ristrutturazione e riconversione di un immobile dismesso già adibito a pomodorificio.

A sostegno dell’appello, dopo una analitica premessa in ordine alla vicenda amministrativa e processuale di che trattasi ed alle caratteristiche tecniche dell’impiantode quo, l’istante ha dedotto:

1) eccesso di potere; carenza di motivazione; travisamento dei presupposti in fatto e in diritto; falsa applicazione dell’art. 2135 cod. civ.; manifesta illogicità e irragionevolezza; ingiustizia grave e manifesta; incompetenza assoluta; sviamento e, per l’effetto, falsa applicazione delle NTA al PRG del Comune (relativamente alla mancata considerazione della sussistenza dei requisiti soggettivi – qualifica di imprenditore agricolo – e oggettivi – esercizio di un’attività strettamente connessa alla trasformazione di prodotti agricoli – necessari ai fini della concessione del permesso di costruire, secondo le NTA al PRG del Comune di Veglie);

2) violazione di legge; violazione dell’art. 3 Cost.; violazione del principio di uguaglianza; ingiustizia grave e manifesta; violazione dell’art. 41 Cost.; eccesso di potere; irragionevolezza; sviamento; violazione dell’art. 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea nonché dell’art. 49 T.F.U.E. (in relazione alla asserita discriminazione basata sulla territorialità operata dal Comune di Veglie a scapito degli imprenditori consorziati operanti al di fuori del territorio comunale);

3) violazione di legge; falsa applicazione dell’art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, nr. 380; eccesso di potere; travisamento dei presupposti in fatto ed in diritto (in ordine alla errata considerazione della insussistenza del requisito della doppia conformità);

4) eccesso di potere; travisamento; insussistenza dei presupposti; falsa applicazione delle NTA al Piano urbanistico territoriale tematico/paesaggio (PUTT/p) della Regione Puglia; contraddittorietà; carenza di istruttoria e, per l’effetto, grave difetto di motivazione; sviamento (in relazione alla mancata inclusione del titolo edilizio richiesto dall’appellante tra gli interventi esentati dall’autorizzazione paesaggistica).

Resiste il Comune di Veglie, che si oppone con diffuse argomentazioni all’accoglimento dell’appello, eccependo, preliminarmente, l’inammissibilità del ricorso per violazione del giudicato sostanziale (per essere l’oggetto del giudizio già coperto dal giudicato riveniente dalle precedenti sentenze del Consiglio di Stato del 16 febbraio 2010, nn. 885, 887 e 888), nonché per avere l’appellante violato il divieto di nova in appello (qualificando - per la prima volta in grado d’appello - la sansa ed il suo derivato, ossia il nocciolino, quali prodotti agricoli e non più quali sottoprodotti come sostenuto, invece, in primo grado) e rilevando, inoltre, l’inammissibilità di tutta la produzione documentale depositata da parte ricorrente soltanto in sede d’appello.

Si sono costituiti anche i Comuni di San Pancrazio Salentino, Porto Cesareo, Salice Salentino e San Donaci, nonché l’Associazione Consumatori Organizzati, la “Tenute Mater Domini” soc. agr. a r.l., la Confederazione Italiana Agricoltori, l’azienda agrituristica “Torre del Cardo”, l’associazione Salute Pubblica, l’associazione Italia Nostra e altri, già interventori in primo grado, tutti parimenti opponendosi all’accoglimento dell’appello.

Alla camera di consiglio del 17 gennaio 2012, fissata per l’esame della domanda incidentale di sospensiva, lo stesso è stato differito sull’accordo delle parti, per essere abbinato alla trattazione del merito.

Le parti hanno affidato a memorie l’ulteriore svolgimento delle rispettive tesi.

All’udienza dell’8 maggio 2012, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Con contratto in data 18 giugno 2010, il Consorzio Agrario Salento Agricolo ha acquisito in affitto dalla Oil Salento S.r.l. un immobile sito in zona agricola del Comune di Veglie, già in passato adibito a pomodorificio e in seguito oggetto di lavori intesi a destinarlo al trattamento della sansa vergine, in relazione al quale ha inoltrato richiesta di permesso di costruire in sanatoria al fine di destinarlo a produzione e commercializzazione di “nocciolino” ricavato dal trattamento con essiccazione di sansa.

A seguito di provvedimento di preavviso di rigetto, cui non seguiva alcuna documentazione né controdeduzione da parte dell’odierna appellante, l’istanza è stata definitivamente respinta con provvedimento prot. nr. 15284 del 9 novembre 2010, oggetto del ricorso di primo grado.

Vale preliminarmente rilevare, tuttavia, come già la società locatrice avesse in precedenza richiesto il medesimo titolo abilitativo in sanatoria, accordatole, poi, dalla medesima Amministrazione comunale con un provvedimento successivamente impugnato da soggetti terzi, unitamente ad altri titoli ad aedificandumprecedentemente rilasciati dal Comune, nell’ambito di una vicenda amministrativa e processuale di cui occorre ripercorrere brevemente gli sviluppi e l’esito, ai fini di una migliore comprensione del contenzioso oggi all’esame di questo Collegio.

Più precisamente, la Oil Salento S.r.l., sulla base di una serie di titoli edilizi rilasciati dal Comune di Veglie, realizzava l’impianto in parola mediante il recupero di un pomodorificio già esistente, corredandolo dell’attrezzatura idonea alla lavorazione della sansa vergine. Ne risultava un impianto di notevoli dimensioni oltre che di avanzata tecnologia, in grado di “lavorare” fino a 13.000 quintali di sansa al giorno, sì da risultare il terzo del genere per importanza nell’intera Europa.

L’intervento descritto, peraltro, ricadeva in una zona agricola qualificata dal PUTT/p come ambito territoriale esteso di valore “C”, all’interno di un’area definita come “Parco del Negroamaro”, destinata prevalentemente alla coltivazione dell’omonimo vitigno a denominazione di origine controllata.

In particolare, le Norme tecniche di attuazione al Piano regolatore generale del Comune di Veglie classificano la zona in cui ricade l’impianto come residuale E2, nella quale sono consentite, oltre alla destinazione agricola e connesse, tutte le destinazioni d’uso compatibili con quella agricola, ivi compresa la costruzione di complessi produttivi agricoli e di opifici industriali purché strettamente connessi con la trasformazione dei prodotti agricoli e con la zootecnica, per i quali è, inoltre, ammessa la possibilità di deroga agli indici per le nuove costruzioni, nonché la possibilità di ampliamento del 20% della volumetria esistente.

Come innanzi accennato, i titoli edilizi concessi alla Oil Salento S.r.l. venivano impugnati e, successivamente, annullati dal T.A.R. della Puglia, in quanto contrastanti con la normativa in tema di giusto procedimento, sulla base della ritenuta sussistenza in capo alla Amministrazione dell’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento, stanti le notevolissime dimensioni dell’impianto e le sue eccezionali capacità produttive, tali da richiedere il coinvolgimento e la partecipazione al procedimento, mediante idonee forme di pubblicità, di soggetti pubblici e privati dei comuni viciniori, quali potenziali destinatari del provvedimento (cfr. T.A.R. Lecce, 25 febbraio 2009, nn. 337, 338 e 339).

In sede di appello, questa Sezione confermava l’annullamento dei titoli edilizi ma sulla base di una diversa motivazione (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 16 febbraio 2010, nn. 885, 887 e 888): specificamente, dopo una approfondita analisi del concetto di “attività connesse” con l’agricoltura, il Collegio ha concluso nel senso della irriconducibilità delle attività cui sarebbe stato destinato l’impianto de quo tra quelle “strettamente connesse con la trasformazione dei prodotti agricoli e con la zootecnica” (le uniche consentite dagli strumenti urbanistici nella zona E2) e, pertanto, riconoscendo l’incompatibilità dell’intervento con la disciplina di zona.

Si è rilevato, al riguardo, come l’attività da esercitarsi nell’impianto in questione non presentasse quella necessaria “connessione” con l’attività agricola, in ragione del difetto dei requisiti necessari per qualificarla come tale e, precisamente: dal lato soggettivo, la mancanza in capo alla Oil Salento S.r.l. della qualifica di imprenditore agricolo; dal lato oggettivo, l’assenza della “prevalenza” della lavorazione del prodotto proprio (non disponendo di sansa propria, la società avrebbe dovuto far ricorso ad un abbondante – considerate le dimensioni e le capacità produttive dell’impianto – approvvigionamento da terzi) e, infine, la mancanza della “connessione” oggettiva ad un ciclo biologico (essendo il prodotto trattato nell’impianto, la sansa vergine, “il residuo derivante dalla lavorazione dell’oliva proveniente da opifici operanti su una vasta area territoriale e in cui la precedente lavorazione ne ha spezzato la diretta derivazione dalla produzione agricola in quanto tale”).

In virtù di tale pronuncia, il Comune di Veglie ha ordinato alla citata società la demolizione delle opere abusivamente realizzate.

Successivamente, la Oil Salento S.r.l. ha concesso in affitto il detto impianto all’odierno appellante, consorzio agrario costituito in forma di società cooperativa e formato da oltre 8.000 olivicoltori, il quale ha presentato al Comune di Veglie – come già accennato - apposita istanza per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, ritenendo di aver superato gli ostacoli evidenziati nella sentenza nr. 888 del 2010 di questa Sezione, in quanto il “nuovo dato del rispetto dell’art. 2135 c.c. sotto il profilo soggettivo (la presenza di un imprenditore agricolo) ed oggettivo (la prevalenza dell’approvvigionamento interno) avrebbe consentito di qualificare l’esercizio dell’impianto come attività agricola connessa ai sensi di legge e quindi di garantire il rispetto dello strumento di pianificazione del Comune” (pag. 15 del ricorso in appello).

L’istanza è stata, tuttavia, rigettata dall’Amministrazione con provvedimento motivato che, fatto oggetto di ricorso, è stato confermato dal T.A.R. della Puglia, ritenendosi che, nonostante il mutamento soggettivo del titolare dell’impianto, rimaneva inalterata la dinamica - tipicamente industriale - della produzione, sulla scorta della “considerazione dei seguenti tre aspetti:

a) avere essa ad oggetto la sansa, e dunque un sottoprodotto proveniente da una lavorazione che ‘ne ha spezzato la diretta derivazione dalla produzione agricola in quanto tale’ (ricordato che le ‘attività connesse’ debbono invece avere ‘ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali’, art. 2135 c.c.);

b) prevedere essa l’utilizzo di una tecnologia che non è, di per sé, espressione propria dell’attività di trasformazione agricola, in cui dal prodotto grezzo, e non dai residui di precedenti lavorazioni, si passa a prodotti più definiti, finalizzati all’utilizzazione umana od animale;

c) svolgersi essa in uno dei più grandi impianti di produzione di nocciolino d’Europa, in grado di lavorare fino a 13.000 quintali di sansa (sicché l’attività della cui connessione si discute riveste in concreto dimensioni tali da renderla principale rispetto a quella agricola; cfr. Cass. 6 giugno 1974, nr. 1682, ripresa da Cons. Stato, VI, nr. 1051/07, cit)”.

Insorge avverso la richiamata sentenza del T.A.R. pugliese il Consorzio Agrario Salento Agricolo con l’appello oggi all’esame della Sezione.

2. Tutto ciò premesso, occorre preliminarmente esaminare l’eccezione, proposta dall’Amministrazione appellata, relativa alla inammissibilità del ricorso per violazione del precedente giudicato.

Tale eccezione, pur se sollevata per la prima volta in appello, ha ad oggetto una questione – la violazione del ne bis in idem - rilevabile anche d’ufficio, e deve, pertanto, ritenersi ammissibile, ai sensi dell’art. 104, comma 1, cod. proc. amm., nonché fondata, essendo, effettivamente, l’oggetto del giudizio coperto dal giudicato riveniente dalle sentenze di questa sezione nn. 885, 887 e 888 del 2010.

2.1. Come è noto, l’art. 2909 cod. civ., nel disciplinare il fenomeno della cd. cosa giudicata sostanziale, prevede – per quanto qui rileva - dal lato soggettivo, la limitazione dell’operatività del giudicato nei confronti delle sole parti, dei loro eredi o aventi causa.

Non v’è dubbio che il Consorzio, attuale appellante, avendo ottenuto in locazione l’immobile della cui regolarità si discuteva nei giudizi definiti con le sentenze di questo Collegio suindicate (oltre che nel presente giudizio), sia tecnicamente “avente causa” della proprietaria dell’immobile medesimo, Oil Salento S.r.l., che è stata parte dei precedenti giudizi, e che, quindi, ad esso si applichi il giudicato sostanziale ai sensi dell’art. 2909 cod. civ., con riferimento alle questioni di fatto e di diritto esaminate in detti giudizi; il rapporto di locazione, infatti, costituisce in capo al locatario un diritto non certo autonomo e originario (per il quale, alla stregua della prevalente giurisprudenza, sarebbe esclusa l’operatività del giudicato: cfr. Cass. civ., sez. II, 27 marzo 2007, nr. 7523; Cass. civ., sez. I, 22 dicembre 2006, nr. 27500; id., 11 marzo 2005, nr. 5381), ma direttamente dipendente da quello del proprietario, di modo che il conduttore non può affermare che il giudicato intervenuto relativamente al proprietario del medesimo bene sia res inter alios judicata.

In altri termini, ai sensi del citato art. 2909 cod. civ. è avente causa, e quindi vincolato dal giudicato, non soltanto chi abbia acquisito a titolo derivativo il medesimo diritto oggetto della precedente controversia, ma anche chi abbia acquisito un diritto dipendente dal rapporto dedotto in controversia: nel precedente giudizio, il rapporto dedotto era quello tra proprietario e Comune, in virtù del quale il primo era legittimato a chiedere il titolo ad aedificandum sanatoria; in seguito, attraverso il contratto di locazione, è stata trasferita al conduttore la disponibilità dell’immobile, e quindi la legittimazione sostanziale a chiedere al Comune il predetto titolo.

D’altronde, a tale conclusione sembra implicitamente aderire anche lo stesso Consorzio appellante, nel momento in cui, nel ripercorrere la vicenda contrattuale tra lo stesso e la Oil Salento S.r.l., afferma che “insieme con i beni materiali costituenti l’impianto, emerge con chiarezza dall’esame del contratto d’affitto di cui sopra che elemento inscindibile dall’impianto, e quindi oggetto del vincolo contrattuale tra i due soggetti, è la possibilità di ottenere tutti i titoli amministrativi necessari all’esercizio dell’impianto” (pagg. 14-15 del ricorso in appello).

Sulla scorta di quanto si è venuto affermando, deve, quindi, riconoscersi al Consorzio Agrario Salento Agricolo la natura di avente causa della Oil Salento S.r.l., con la conseguenza di ritenere ad esso senz’altro applicabile la disposizione di cui all’art. 2909 cod. civ. relativa al giudicato sostanziale.

2.2. Bisogna, a questo punto, ripercorre il contenuto delle ricordate sentenze di questo Collegio nn. 885, 887 e 888 del 2010, al fine di illustrare in quali termini l’oggetto del presente giudizio possa definirsi già coperto da giudicato.

Orbene, da una piana lettura delle summenzionate pronunce si evince che uno dei punti centrali del thema decidendum in tale sede è stato costituito proprio dall’individuazione della corretta qualificazione delle sanse vergini; più specificamente, la Sezione, pur respingendo la prospettazione dei ricorrenti in primo grado secondo cui le stesse sarebbero state rifiuti veri e propri e accogliendone, invece, la qualificazione come sottoprodotti, ha però ritenuto che ciò non fosse sufficiente a ritenere che la loro lavorazione mediante essiccazione costituisse attività “connessa” alla attività agricola ai sensi dell’art. 2135 cod. civ.

Si è rilevato, in particolare, che, “come risulta dai provvedimenti impugnati, il progetto in questione riguarda (dopo il suo ridimensionamento) la ristrutturazione edilizia e la riconversione dei fabbricati esistenti in uno stabilimento industriale precedentemente adibito a pomodorificio, per destinarlo a produzione e commercializzazione di nocciolino di sansa, tramite sua essiccazione.

L’impianto di essiccazione, che viene incontestatamente considerato fra i più grandi d’Europa, è in grado di lavorare circa 13.000 quintali al giorno di sansa (ancorché su base stagionale, essendo legato al periodo di lavorazione dell’oliva) il che fa supporre la necessità di approvvigionamenti corposi sul territorio, anche a notevole distanza dalla localizzazione dell’impianto.

La caratteristica principale dell’attività consiste, dunque, in una lavorazione di prodotti di terzi mediante una tecnologia che non è, di per sé, espressione di tipica attività di trasformazione agricola, in cui normalmente dal prodotto grezzo, attraverso la conoscenza dei processi chimici e biodinamici e con l’applicazione di adeguate tecnologie di trasformazione, si passa a prodotti più definiti, specificamente finalizzati all’utilizzazione umana od animale.

A tale ambito di attività di trasformazione è, infatti, estranea l’attività di smaltimento dei residui di precedenti lavorazioni agricole, ancorché finalizzata, come nella fattispecie, a produzioni alternative.

Nella fattispecie, come si è già detto, viene infatti in considerazione un impianto per la lavorazione di sanse vergini, il cui processo tecnologico consiste nella estrazione, mediante particolari strutture di essiccazione ad aria calda, del nocciolino di sansa da utilizzare come combustibile.

Non si è, pertanto, in presenza di una attività strettamente connessa alla trasformazione di prodotti agricoli, bensì di una vera e propria attività industriale di secondo livello, che utilizza residui derivanti dalla lavorazione dell’oliva provenienti da opifici operanti su una vasta area territoriale e in cui la precedente lavorazione ne ha spezzato la diretta derivazione dalla produzione agricola in quanto tale.

Invero, in tanto un impianto può essere considerato strettamente connesso con la trasformazione di prodotti agricoli in quanto l’aspetto industriale di trasformazione sia, per un verso, connesso alla chiusura del ciclo produttivo agricolo e, per altro verso, non sia prevalente, per modalità di approvvigionamento o di trasformazione, rispetto all’attività agricola in quanto tale”.

Ne è derivata la affermazione dell’incompatibilità dell’attività de qua con la destinazione agricola dell’area su cui l’immobile insiste: in altri termini, e contrariamente a quanto si assume da parte dell’odierno appellante, la preclusione “oggettiva” alla compatibilità dell’intervento con la disciplina urbanistica di zona è stata individuata non solo nel dato estrinseco della provenienza delle sanse vegetali da lavorare (aspetto che, nella prospettazione dell’istante, sarebbe superato con la costituzione di un consorzio destinato a smaltire i prodotti dell’attività degli stessi consorziati) ma, prima ancora, nelle caratteristiche intrinseche della lavorazione condotta all’interno dell’impianto.

Orbene, la condivisibilità o meno di tale conclusione è manifestamente questione che non può essere affrontata in questa sede, non potendo disconoscersi come sul punto – che, lo si ribadisce, era questione centrale della controversia – si sia formato il giudicato.

Di quanto sopra è evidentemente ben consapevole l’odierna appellante, al punto da proporre una diversa qualificazione giuridica delle sanse come “prodotti agricoli” (cfr. le pagg. 22-29 dell’appello).

Tale prospettazione, tuttavia, appare a sua volta in contrasto con il precedente giudicato che – come detto – ha qualificato la sansa come sottoprodotto, rappresentando, inoltre, come correttamente eccepito dal Comune, una palese violazione del divieto di jus novorum, in quanto tale impostazione non trova alcun riscontro nel giudizio di primo grado, risultando articolata per la prima volta in grado di appello.

2.3. Alla luce di quanto appena evidenziato, deve concludersi che l’“accertamento” compiuto sui punti suindicati nel precedente giudizio fa stato anche nella presente sede processuale: ciò che consente di replicare alla possibile obiezione basata sulla formale diversità di oggetto fra il rapporto per cui è causa e quello di cui al precedente giudizio (in quel caso, l’annullamento di permessi già rilasciati, oggi il diniego opposto a una istanza intesa a ottenere una nuova sanatoria), atteso che a mente dell’art. 2909 cod. civ. il giudicato si forma – appunto – sull’ “accertamento” compiuto dal giudice, e non potendo negarsi la perfetta identità delle questioni di fatto e di diritto dedotte nel presente giudizio rispetto a quelle coperte dal richiamato giudicato.

2.4. Privi di pregio risultano essere, poi, gli opposti rilievi formulati dall’appellante a fronte dell’eccezione di violazione del ne bis in idem.

Rileva, infatti, il Consorzio come il T.A.R. non abbia fatto alcun riferimento al precedente giudicato siccome preclusivo di una decisione nel merito e come non sia congruo invocare il ne bis in idem con riferimento ad una questione di interpretazione giuridica, quale indubbiamente è quella della qualificazione da dare alle sanse vergini, in quanto ciò comporterebbe un’impropria introduzione di una sorta di stare decisis, del tutto estraneo all’ordinamento processuale vigente.

Quanto al primo argomento, può agevolmente replicarsi che, sebbene il T.A.R. non si sia soffermato sulla qualità di avente causa dalla Oil Salento S.r.l., e quindi di “terzo interessato”, rivestita dalla parte ricorrente, considerandola soggetto genericamente terzo (e quindi ritenendo ad essa non applicabile l’art. 2909 cod. civ.), è pur vero, tuttavia, che nella sostanza il primo giudice ha comunque richiamato il decisum delle precedenti sentenze, ritenendolo oggettivamente vincolante quanto alla questione controversa.

E, in ogni caso, come già si è evidenziato, la questione di inammissibilità del ricorso introduttivo per violazione del divieto di bis in idem, essendo rilevabile anche d’ufficio, poteva pacificamente essere introdotta per la prima volta in grado d’appello.

Quanto al secondo rilievo, innanzi tutto non è corretto sostenere, come parte appellante fa, che il giudicato si sarebbe formato su una mera questione giuridica, in quanto lo stesso investe la qualificazione delle sanse vergini e del relativo processo produttivo non in termini astratti e teorici, bensì con specifico riferimento al processo destinato a svolgersi nell’impianto per cui è causa (in questo senso trattandosi di questione di diritto strettamente intrecciata a questione di fatto, proprio come richiesto dal citato art. 2909 cod. civ.); inoltre, è fuori luogo paventare una sorta di staredecisis, in quanto in questo caso il giudicato non è destinato affatto a spiegare i propri effetti nei confronti di terzi estranei al giudizio, proprio perché – come si è visto – tale non è l’odierno appellante (avente causa dalla ricorrente nei precedenti giudizi).

3. Discende da tutto quanto sopra esposto l’accoglimento dell’eccezione di violazione del giudicato sollevata dal Comune di Veglie, con conseguente declaratoria della inammissibilità del ricorso di primo grado e assorbimento di ogni ulteriore questione sollevata dalle parti nel presente giudizio.

4. Tenuto conto della complessità e della novità delle questioni affrontate, sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata, nei sensi di cui in motivazione.

Compensa tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 maggio 2012 con l’intervento dei magistrati:

Gaetano Trotta, Presidente

Raffaele Greco, Consigliere, Estensore

Raffaele Potenza, Consigliere

Andrea Migliozzi, Consigliere

Umberto Realfonzo, Consigliere

 

   

 

   

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

   

 

   

 

   

 

   

 

   

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 20/06/2012

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)





IL CONSIGLIO DI STATO CONFERMA LA SENTENZA DEL TAR DI LECCE E NEGA L'INIZIO DI ATTIVITA' DEL SANSIFICIO IN LOCALITA' "LA CASA".
la redazione
21/06/2012