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GIALLO D’AVOLA di Paolo Di Stefano, Sellerio Editore Palermo, Marzo 2013

Avola, 6 ottobre 1954.  Paolo Gallo, contadino quarantanovenne, esce di casa all’alba per accudire gli animali e condurli alla fontana, ma non vi fa ritorno. Unica traccia lasciata dietro di sé, la coppola macchiata da un abbondante versamento ematico, che fa sorgere nel maresciallo Luminoso – incalzato da Cristina Giannone, moglie dello scomparso – la convinzione d’un compiuto efferato omicidio. Più che un dubbio, una certezza la sua, che non ritratterà mai. 

Pur senza il ritrovamento del cadavere, su pregiudizio per precedenti screzi familiari, vengono arrestati il fratello Salvatore Gallo e il nipote Sebastiano. A nulla varranno  le lucide argomentazioni dei penalisti Pier Luigi Romano e Piero Fillioley: al processo padre e figlio saranno  condannati, uno all’ergastolo per omicidio, l’altro a 14 anni e 8 mesi per favoreggiamento e aiuto nell’occultamento di cadavere.

 

Amareggiati dalla sconfitta, perché convinti che la giustizia avesse inforcato i paraocchi, Romano e Filloley diranno in aula che, per la totale assenza di prove, era stato celebrato il “processo delle presunzioni”. E così salutano Venerina Costa, fidanzata di Salvatore: “Cavallo che perde si cambia, ora toccherà a qualcun altro difendere i Gallo, noi abbiamo fatto il possibile”.

 

Del ricorso si fanno carico gli avvocati Salvatore Lazzara e Filippo Ungaro, che subiscono il rigetto della Cassazione. Solidali col percorso difensivo Romano-Fillioley, chiedono pareri e consigli, ma sarà il rapporto instaurato col cronista giudiziario de’ “La Sicilia” a portare risultati soddisfacenti. Lazzara rappresentava il meglio della professione forense, Enzo Asciolla, quello della professione giornalistica, insieme formarono un sodalizio particolare, accanito e ostinato, grazie al quale il debole lumicino intravvisto in  fondo al tunnel, illuminerà via via le tenebre, fino a far luce di pieno giorno. Dall’arresto di Salvatore Gallo saranno allora passati sette anni e quattro giorni.

Lo scrittore Paolo Di Stefano è tornato su quel triangolo di terra, la stessa dove affondano le sue radici, per compiere un notevole lavoro di rivisitazione  dei luoghi (moltissime le località citate) e degli avvenimenti, così, muovendosi tra realtà documentate, deduzioni realistiche e fervente fantasia, ha realizzato  un romanzo di grande interesse e di piacevole lettura, rivelando ai lettori anche la sua sorprendente sicilianità.

La credibilità della storia è assicurata dalla trama che traccia il naturale evolversi dei fatti, dalla caratterizzazione dei personaggi, dalla descrizione capillare – a volte poetica, a volte cruda – dei paesaggi e dal particolare linguaggio, il più vicino possibile al parlato, che varia dall’italiano al similitaliano, fino al dialetto, a seconda della cultura e del diverso ruolo dei dialoganti.

Il lettore trova di che stare appassionatamente incollato alle pagine, seguendo le varie ipotesi che nascono, s’intrecciano, muoiono. Vorrebbe, se ciò fosse possibile, persino sorpassare l’autore nella soluzione del giallo. Infatti, mentre la voce narrante si ferma a pagina 325, lasciando spazio ad ulteriori  interrogativi, il lettore continua a “macinare” ipotesi sulla completa vera-verità.

Una piacevole lettura, dicevamo, ma Giallo d’Avola non sfugge alla regola secondo cui “La Letteratura sorprende, turba, inquieta interroga, produce conoscenza…”: infatti, tornando su tanti passaggi del romanzo, ci si trova immersi in un vero laboratorio d’esercizio di memoria e di analisi socio-culturale.

Come non guardare, per esempio, all’inquietante “un solo occhio” che sovrasta il portone d’entrata delle antiche carceri di Ortigia? L’occhio del Padreterno cui nulla sfugge. Un invito ad affidarsi alla Divina Giustizia, perché su quella umana, che diventa minuscola e inforca i paraocchi quand’è esercitata da persone “poco avvezze all’esercizio del dubbio e della interrogazione interiore”, che condanna basandosi su pregiudizi e costringe all’omertà i testimoni, c’è poco da contare?:“Li misero in carcere quando dissero la verità e li scarcerarono grazie alla menzogna”

Il carcere! Sempre attuale il problema del sovraffollamento nelle carceri e della detenzione in dubbie condizioni ambientali: “Così coll’odore dell’umido marcio, della merda e del piscio, quel giorno nelle narici dei detenuti entrò anche il puzzo agrodolce della morte che non voleva più andarsene.”

Che dire del dubbio che, instaurandosi, annebbia la mente e mette contro padri e figli?  E della suggestione che assale, inducendo a “credere più al male che al bene”?  Del troppo parlare che fa più male dell’omertà? “chiù assai lo vedono e chiù fantasma addiventa”.  E, nello stesso tempo, di quanto sia breve il passo tra la cautela e l’indifferenza: “ Allora pensavo che non era mio dovere (parlare) ma dell’altro”

E poi, l’autosuggestione.  E’ una cattiva bestia o piuttosto provvidenziale spirito di conservazione? Salvatore, da sempre dichiaratosi  innocente, dietro dettatura fa scrivere al fratello “[…] forse mi viene il dubbio che qualche colpa devo averla commessa se un tribunale ha giudicato di condannarmi alla pena dell’ergastolo e questa è la sola maniera che mi resta per accettare di vivere qua dentro, pensare che Dio mi meritò questa dannazione.”

La povertà delle zone depresse. “Al mattino vedevi schiere di braccianti in movimento per 10-20 chilometri verso la campagna… a piedi o in bicicletta… pezzenti scalzi che non avevano né scarpe per camminare né occhi per piangere “.  Oppure: La rudezza dei muri smangiati, i secchi riversi, gli attrezzi buttati in un angolo. L’odore di selvatico e di merda che impregnava l’aria… immagini di una miseria antica e senza scampo.”

Qui lo scenario che il giornalista definisce “Pietraie” o “ Mondi Iblei”, ma le zone depresse, per sudore della fronte, miseria, analfabetismo, violenti metodi educativi, ignoranza e superstizione, si assomigliano tutte quante!

Su Giallo d’Avola non mancano le note positive. Anzi!

L’abnegazione, come quella di Venerina Costa, pronta, nonostante le precedenti vicissitudini, ad occuparsi d’una famiglia già cresciuta. 

La Pietà, il cui fiore sboccia nei luoghi più impensati: lo sanno i bambini di Avola che la domenica assaggiano le prime polpette di carne.

Lo sa l’ergastolano che nel pieno sconforto trova sostegno morale nel direttore del penitenziario, sempre impegnato, a rischio del suo stesso posto di lavoro, a salvaguardare la dignità umana: “Salvatore Gallo, tu sei ancora un uomo! E sei vivo!”

La fratellanza, poi! L’avrebbe mai pensato Sebastiano Gallo di sentirsi dire dall’avvocato Lazzara che si accingeva ad assumerne la difesa: “Quand’è così, farò per te tutto quello che posso fare, come se tu fossi mio fratello”.

dania

 

Milano, 23 giugno 2013


GIALLO D'AVOLA di Paolo Di Stefano, Sellerio Editore Palermo, Marzo 2013
dania
23/06/2013