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N. 03174/2014REG.PROV.COLL.

N. 00347/2013 REG.RIC.

http://www.giustizia-amministrativa.it/DocumentiGA/Consiglio%20di%20Stato/Sezione%206/2013/201300347/Provvedimenti/stemma.jpg

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 347 del 2013, proposto dal Consorzio Agrario Salento Agricolo, rappresentato e difeso dagli avvocati Gianluigi Pellegrino e Angelo Clarizia, con domicilio eletto presso il secondo in Roma, via Principessa Clotilde N.2; 

contro

Comune di Veglie, Comune di Porto Cesareo, rappresentati e difesi dall'avv. Pietro Quinto, con domicilio eletto presso A. Placidi in Roma, via Cosseria, 2; Comune di San Pancrazio, rappresentato e difeso dall'avv. Adriano Tolomeo, con domicilio eletto presso l’avv. Federico Massa in Roma, via degli Avignonesi, 5; Comune di San Donaci, rappresentato e difeso dall'avv. Pietro Quinto, con domicilio eletto presso l’avv. Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 2; Comune di Salice Salentino, Cgil Camera del Lavoro Terr. di Lecce, Ass. Salute Pubblica, Az. Agr. Petito Fabiana, Cons. di Tutela e Valorizz. del Vino Doc Salice Salentino, Confederazione Italiana Agricoltori Lecce, Legambiente Comitato Reg. Pugliese, Proloco di Veglie, Associazione Consumatori Organizzati, Associazione Italia Nostra; Tenute Mater Domini Soc. Agr. A R.L., rappresentata e difesa dall'avv. Saverio Sticchi Damiani, con domicilio eletto presso l’avv. Ernesto Sticchi Damiani in Roma, V. Bocca di Leone 78(St. Bdl); Frisenda Pasquale, Az. Ag. Fabrizia del Balzo, Az. Agrituristica Torre del Cardo, Az. Agrituristica Casa Porcara di Soc. Costantini Srl, Az. Agr. Memmo Lina, Az. Agr. San Giovanni di Petito Stefania e Podo Brunetti Salvatore Ss, Comitato Ambiente Sano, rappresentati e difesi dall'avv. Angelo Vantaggiato, con domicilio eletto presso l’avv.Giuseppe Pecorilla in Roma, via della Scrofa, 64; 

per la revocazione della sentenza del consiglio di stato, sez. iv, n. 03623/2012, resa tra le parti, concernente diniego di permesso di costruire in sanatoria;



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dei Comuni di Veglie, San Pancrazio, Porto Cesareo e San Donaci, nonché delle Tenute Mater Domini s.r.l. e delle aziende di seguito precisate: società Agricola di Frisenda Pasquale s.r.l., Soc. Agricola di Fabrizia del Balzo, Aziende Agrituristiche di Torre del Cardo e di Casa Porcara, Soc. Costantini Srl, Aziende Agrituristiche di Memmo Lina e di San Giovanni di Petito, Stefania e Podo Brunetti Salvatore Ss, Comitato Ambiente Sano;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 gennaio 2014 il Cons. Gabriella De Michele e uditi per le parti gli avvocati Clarizia, Gaetano Colletta per delega dell’avv. Gianluigi Pellegrino, Tolomeo, Saverio Sticchi Damiani e Vantaggiato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:



FATTO

Con ricorso n. 347/13, notificato il 16.1.2013 e depositato il 17.1.2013, il Consorzio Agrario Salento Agricolo ha chiesto la revocazione della sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, n. 3623/12 del 20.6.2012, con la quale era stato respinto l’appello proposto dal medesimo Consorzio avverso una pronuncia – n. 1484/2011, emessa dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Lecce, sez. III – con la quale veniva pure respinto il ricorso, presentato per l’annullamento del diniego opposto dal Comune di Veglie, in data 9.11.2010, all’istanza di permesso di costruire in sanatoria, presentata dal Consorzio attualmente appellante (previo affitto di un immobile dalla società Oil Salento s.r.l.) per un impianto di trattamento della sansa vergine, realizzato mediante ristrutturazione e riconversione di un immobile dismesso, già adibito a pomodorificio. In tale immobile era prevista la produzione e commercializzazione di “nocciolino” – ricavato dalla sansa (sottoprodotto dell’olio d’oliva) tramite essiccazione – in area qualificata sul piano urbanistico come agricola ed inserita nel “Parco del Negroamaro”.

Nella citata sentenza del Consiglio di Stato, di cui si chiede la revocazione, viene precisato l’inserimento dell’impianto in zona classificata E2, in cui sono consentite – oltre alle destinazioni agricole e quelle connesse – “tutte la destinazioni d’uso compatibili con quella agricola, ivi compresa la costruzione di complessi agricoli e di opifici industriali, purchè strettamente connessi con la trasformazione dei prodotti agricoli e con la zootecnica”, anche con possibilità di ampliamento del 20% della volumetria esistente. Nella medesima sentenza veniva altresì sottolineato come i precedenti titoli edilizi, concessi alla Oil Salento s.r.l., fossero stati annullati in sede giurisdizionale: in primo grado di giudizio, a causa delle “notevolissime dimensioni dell’impianto e delle sue eccezionali capacità produttive” (tali da richiedere partecipazione al procedimento di soggetti pubblici e privati di comuni vicini) ed in grado di appello (Cons. St., sez. IV, sentenze nn. 885, 887 e 888 del 2010) per incompatibilità dell’intervento con la disciplina di zona, non presentando l’impianto di cui trattasi la necessaria connessione con l’attività agricola, sotto il profilo sia soggettivo che oggettivo. La Oil Salento s.r.l., infatti, non possedeva la qualificazione di imprenditore agricolo e la materia da lavorare – oltre ad essere acquisita da terzi – non risultava posta in rapporto di “connessione oggettiva ad un ciclo biologico” (in quanto la precedente lavorazione delle olive per produrre olio – lavorazione, di cui la sansa vergine costituisce residuo – avrebbe “spezzato la diretta derivazione dalla produzione agricola in quanto tale”).

In sede di appello, era ritenuta fondata ed assorbente l’eccezione proposta dal Comune di Veglie– comunque valutabile anche se proposta per la prima volta in tale sede, poiché corrispondente ad un vizio rilevabile anche d’ufficio – di violazione del giudicato, formatosi sulle precedenti sentenze del Consiglio di Stato, sez. IV, nn. 885, 887 e 888 del 2010, dovendo ritenersi il citato Consorzio, avente causa dalla Oil Salento s.r.l., sostanzialmente vincolato da tali sentenze, ex art. 2909 cod. civ., con riferimento all’identica questione in esse trattata.

Le pronunce definitive sopra indicate avevano accertato la qualificazione (opponibile anche al citato Consorzio) della sansa vergine, se non come rifiuto, come sottoprodotto di una lavorazione, tale da recidere il rapporto di connessione con l’attività agricola, ai sensi dell’art. 2135 cod. civ., ponendosi come vera e propria “attività industriale di secondo livello”, senza più alcuna connessione con la “chiusura del ciclo produttivo agricolo”.

Detta attività, pertanto, era da considerare incompatibile con la destinazione agricola dell’area, tenuto conto dell’avvenuta formazione del giudicato non sulla qualificazione da attribuire, in via generale, alla lavorazione della sansa vergine, ma specificamente sulla natura dell’attività svolta dall’impianto produttivo di cui trattasi, nei confronti della società dante causa del Consorzio appellante.

Nel ricorso per revocazione attualmente in esame si deducevano, come fattispecie rientranti nell’art. 395, comma 1 n. 4 c.p.c. (errore di fatto risultante dagli atti o documenti di causa: supposizione di un fatto, la cui verità sia incontrastabilmente esclusa, o ritenuta inesistenza di un fatto, la cui veridicità sia positivamente stabilita, sempre che il fatto non costituisse punto controverso, oggetto della pronuncia) due fatti: l’erronea qualificazione come motivo nuovo in appello della natura agricola dell’attività in questione e l’omessa valutazione, da parte del giudice di appello, del motivo di gravame riferito a contrasto della pronuncia di primo grado con le norme del diritto comunitario e, segnatamente, dell’art. 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea sul principio di libertà di impresa e dell’art. 49 TFUE, per discriminazione basata sulla territorialità. Tale discriminazione sarebbe stata operata dal Comune di Veglie, a scapito degli operatori consorziati operanti al di fuori del territorio comunale, con riferimento alla denegata qualificazione delle sanse come prodotti agricoli e dell’attività di trasformazione delle stesse come attività connessa all’agricoltura, ai sensi dell’art. 38 TFUE, con conseguente esigenza di rinvio alla Corte di Giustizia, ex art. 267 TFUE. La qualificazione giuridica corretta della sansa, peraltro, avrebbe costituito “questione pregiudiziale, di importanza centrale ai fini della corretta interpretazione del diritto comunitario, rilevante nel caso di specie”, anche al fine di evitare una disparità di trattamento fra operatori europei, impegnati nel settore in esame. Dovrebbe quindi essere chiarito se, in base al diritto europeo, la dimensione dell’impianto possa snaturare il carattere agricolo dell’attività, o la connessione della stessa con l’agricoltura. Sotto tale profilo, la censura sarebbe stata trascurata o erroneamente interpretata, con equivalenza di fatto ad omessa decisione, frutto di abbaglio dei sensi nella lettura degli scritti difensivi, quale presupposto necessario e sufficiente per la richiesta revocazione.

La nozione “estremamente restrittiva di attività agricola”, presupposta nell’impugnata determinazione del Comune di Veglie, inoltre, violerebbe l’art. 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione e l’art. 49 TFUE, per gli ostacoli apposti agli imprenditori provenienti dall’esterno del territorio comunale e, quindi, ai non cittadini, per esercitare le libertà riconosciute nel Trattato. Viene quindi rappresentata la necessità di sollevare questione pregiudiziale innanzi alla Corte di Giustizia U.E., non solo per quanto riguarda l’esatta qualificazione della sansa e della relativa attività di trasformazione, ma anche circa la precisa portata del principio di libertà di impresa e della compatibilità delle nozioni di imprenditore agricolo e di attività agricola – nei termini accolti dall’Amministrazione nel caso di specie – con i principi in materia di libertà di stabilimento, di cui all’art. 49 TFUE. L’omessa sottoposizione della questione dedotta in giudizio alla predetta Corte di Giustizia, pertanto, costituirebbe errore revocatorio, non sussistendo le condizioni in base alle quali, per consolidata giurisprudenza comunitaria, il giudice nazionale potrebbe essere ritenuto esente dall’obbligo di rinvio.

Si sono costituiti nel presente giudizio i Comuni di Veglie, San Pancrazio Salentino, Porto Cesareo, San Donaci e Salice Salentino, nonché la società agricola Tenute Mater Domini, l’Associazione Consumatori Organizzati, l’Associazione Italia Nostra e la altre numerose aziende specificate in epigrafe, tutti con diverse memorie difensive opponendosi alle deduzioni di controparte, sostanzialmente poiché non vi sarebbe stata omessa qualificazione della sansa vergine, trattandosi di questione definita in precedenti pronunce passate in giudicato. La natura non agricola dell’attività di lavorazione della sansa non dipenderebbe, in ogni caso, dalla quantità di prodotto lavorato, ma dalla natura del prodotto, in quanto non riconducibile ad attività agricola e la questione pregiudiziale, infine, non potrebbe più essere sollevata, dopo la formazione di giudicato sul punto (mentre, ove ritenuta non coperta da giudicato, si tratterebbe di questione nuova, non deducibile per la prima volta in appello).

DIRITTO

1.Con il primo profilo del motivo di ricorso in revocazione per errore di fatto il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata abbia definito come “nuovo” in appello il motivo concernente la qualificazione dell’attività economica dedotta in giudizio.

La deduzione è inammissibile.

L’errore di fatto revocatorio presuppone la decisività del fatto, cioè che la sentenza sia “fondata” sul fatto erroneamente percepito (da ultimo, Cass., 9 dicembre 2013, n. 27451; 26 settembre 2013, n. 22080).

Nella specie, indipendentemente dalla qualificazione del preteso errore (che sarebbe comunque di diritto e non di fatto), il fatto dedotto non ha carattere decisivo in quanto la sentenza è fondata non sull’argomento della novità del motivo di ricorso, che è solo un obiter dictum, bensì invece su quello dell’esistenza di un giudicato.

2.Con il secondo profilo del motivo il ricorrente lamenta, come errore sul fatto, che la sentenza impugnata non abbia pronunciato, previo eventuale rinvio pregiudiziale, sulla questione di incompatibilità eurounitaria della nozione restrittiva di attività agricola seguita dall’autorità amministrativa e dai giudici amministrativi di primo grado.

Anche questo profilo è inammissibile.

La sentenza impugnata ha ravvisato una preclusione all’esame del merito nel giudicato formatosi sulla questione controversa nei confronti della dante causa del ricorrente.

Conseguentemente non ha esaminato il merito, dunque nemmeno il motivo di incompatibilità eurounitaria.

Non vi è stata quindi alcuna omissione di pronuncia, né errore di fatto, bensì invece l’accertamento di un fatto preclusivo dell’esame del merito, come è, per sua natura, il giudicato.

3.Il ricorrente deduce che il caso non rientrerebbe tra quelli nei quali la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE esonera il giudice nazionale dall’obbligo di rinvio (esistenza di precedente pronuncia della Corte su questione identica, giurisprudenza costante della Corte sul punto di diritto litigioso, evidenza della soluzione fuori di ogni ragionevole dubbio).

Il ricorrente tace però sul fatto che, secondo la costante giurisprudenza della Corte, fin dalla sentenza 6 ottobre 1982, C-283/81, Cilfit, par. 10, presupposto dell’obbligo di rinvio pregiudiziale da parte del giudice nazionale è la rilevanza della questione, che è esclusa quando la soluzione della questione non possa influire sull’esito della lite: rilevanza la cui valutazione è rimessa in via esclusiva al giudice nazionale (cfr. da ultimo Corte giust. UE, 18 luglio 2013, C-136/12, par. 26), salvo che la Corte di giustizia ritenga di dichiarare irricevibile la questione.

Il ricorrente nulla deduce, né lo potrebbe in sede di revocazione per errore sul fatto, circa l’accertamento del giudicato compiuto dalla sentenza impugnata: quindi, nemmeno circa l’effetto preclusivo che ne derivava e che rendeva irrilevante la questione di compatibilità eurounitaria.

4.Nemmeno è ipotizzabile – nè rilevabile d’ufficio - che i motivi di incompatibilità eurounitaria dedotti resistano all’efficacia preclusiva del giudicato e, nel caso di specie, al carattere di gravame a critica limitata della revocazione, divisa in una fase rescindente in base a motivi tassativi e in una fase rescissoria soltanto eventuale.

La Corte di giustizia ha infatti segnalato, in una fattispecie di lodo arbitrale interlocutorio avente natura di decisione definitiva e seguìto da un lodo arbitrale successivo, che le norme di procedura nazionale che limitano i rimedi contro il secondo in considerazione dell’autorità di cosa giudicata del primo “si giustificano in virtù dei princìpi che stanno alla base del sistema giurisdizionale nazionale, quali il principio della certezza del diritto e quello del rispetto della cosa giudicata che ne costituisce l’espressione”; in tali condizioni, il diritto comunitario non impone a un giudice nazionale di disapplicare siffatte norme, nemmeno per poter esaminare questioni di incompatibilità comunitaria (Corte giust. CE, 1° giugno 1999, C-126/97, Eco Swiss China Time Ltd., par. 46 e 47).

Le norme nazionali che prevedono per il processo amministrativo, con l’appello, un doppio grado di giudizio pieno e un ulteriore rimedio a critica limitata (la revocazione) per vizi nella formazione del giudizio sono applicative dei princìpi della certezza del diritto e del rispetto della cosa giudicata e si sottraggono, quindi, ad ogni ipotesi di incompatibilità eurounitaria.

5.Per le suesposte considerazioni, il ricorso è inammissibile.

Taluni profili di novità della questione rendono opportuna la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione in epigrafe, lo dichiara inammissibile; compensa le spese giudiziali.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nelle camere di consiglio in data 14 gennaio 2014 e 6 maggio 2014, con l'intervento dei magistrati:

Stefano Baccarini, Presidente, Estensore

Maurizio Meschino, Consigliere

Gabriella De Michele, Consigliere

Roberta Vigotti, Consigliere

Carlo Mosca, Consigliere

 

   

 

   

IL PRESIDENTE, ESTENSORE

   

 

   

 

   

 

   

 

   

 

   

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 23/06/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 


SANSIFICIO: SENTENZA CONSIGLIO DI STATO DEL DEL 23 GIUGNO 2014
REDAZIONE
26/06/2014