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Quando la dialettica del vuoto assurge a docente dell’ignoranza Questo è stato l’immediato pensiero che ha fatto capolino dopo aver letto una delle ultime testate paesane e le due lettere, una del sign Rolli e l’altra del Sig. Landolfo. Accanto a questo primo pensiero ne sono seguiti altri riguardanti la storia dei viticultori vegliesi, meglio, oserei dire, dei contadini vegliesi che lavorano nella vigna. Un attento osservatore dei fenomeni locali, avrà gia compreso che di viticultori a veglie non possiamo parlarne, per cui si deve parlere ancora di contadini. Non me ne vogliano i mie concittadini, ma sappiano che sto criticando anche mio padre nella sua incapacità ad accettare una evoluzione nel settore dell’agricoltura e dell’essere “azienda agricola”, anche se solo con qualche ettaro di terreno; sto criticando la mia cultura di contadino che non riesco a collocare nel giusto modo, anche se “ il mercato” del turismo ne fa larga richiesta.
Dopo questa premessa faccio due esempi per meglio far comprendere il mio pensiero: uno è proprio della cooperativa Vecchia Torre di Leverano, l’altro appartiene ad un retaggio culturale caratteristico del nostro paese.
VEGLIE.
Quando mio padre da contadino, non da viticultore, vendemmiava la sua poca uva mi diceva e si diceva a Veglie, “porto l’uva all’ammasso”, per dire che conferiva il proprio prodotto ad una cooperativa. : questo concetto, diventato d’uso comune negli anni ’60, è presente anche oggi nella cultura più profonda dei contadini. Le conseguenze erano che del prodotto della vendemmia,quello più scarto veniva conferito alla cooperativa mentre il migliore veniva venduto ai privati. Conferire i prodotti più scarsi alla cooperativa questa è una logica che non si è riusciti a modificare, Perchè? Questo è un atteggiamento culturale che nessuno ha avuto o ha il coraggio di affrontare. Pertanto la logica dominate è: io conferisco l’uva e tu “cantina mi deve dare i soldi” velocemente Ma sappiamo tutti che il concetto di cooperativa non è questo. Sappiamo invece che il socio deve essere messo nelle condizioni di decidere cosa far fare alla sua cooperativa. Quali adeguamenti vanno fatti in funzione dell’andamento del mercato. Questo, mi sembra, sarebbe dovuto essere e dovrebbe essere il ruolo del gruppo leader che poi viene chiamato C.d.A. I più informati sanno che bisogna fare i conti col mercato che, negli ultimi anni, ha cambiato totalmente tendenza. Per fare il vino buono, quello richiesto dal mercato, ci vuole l’uva buona e per fare l’uva buona ci vuole il viticultore, l’azienda agricola e non il contadino nella vigna.
L’ostacolo, ancora presente a Veglie, è quello culturale. Finché non si rimuove questo ostacolo, finche non si determina la spinta necessaria affinché il contadino diventi dignitoso viticultore, non ci sono soluzione di fusioni tra cooperative o altri marchingegni contabili che possano ripagare i poveri contadini dei loro onesti sforzi.Quindi un C.d.A. deve anche guidare, formare, costruire logiche aziendali nuove oltre che preparare degli scarni bilnci.Chi ha il coraggio di affrontare questo grosso problema? Io dico nessuno se non l'U.E., quando, con il contributo che darà nuovamente per estirpare altri vigneti, i contadini ridurranno,e giustamente dal loro punto di vista, la superficie di terreno coltivata a vigneti.Poche migliaia di euro sono sufficienti per estirpare un vigneto. Ma la gente ben acculturata, è cosciente che non è questa la scelta migliore, magari è la più semplice. E, allora, come Pilato lasciamo fare..
LEVERANO.
Mi ha raccontato un contadino di Leverano, divenuto poi viticultore, che una diecina di anni fa, per la prima volta, mentre scaricava la sua ape car carica di uva nella vasca della cantina vinicola di Leveranno, l’enologo lo fermò e lo fece andare via per il solo fatto che c’erano varietà di uva bianca e nera. Il contadino si rivolse, con le classiche imprecazione di chi si ritrova in una condizione di impotenza, al presidente della cooperativa che controllava l’andamento dei lavori. La sua risposta era tutta racchiusa in una alzata di spalle come a dire non posso far niente. Quell’uva venne scaricata a Veglie. E’ gia da sei anni che quel contadino, avendo imparato la lezione e con i consigli dei consulenti della cooperativa produce della buona uva. che gli viene sistematicamente ben pagata. Non vedo più la rabbia sul suo viso. C’è di più: oggi è lo stesso presidente della cooperativa insieme allo stesso enologo che, durante le ricognizioni estiva dei vigneti , lo incoraggiano a conferire il suo prodotto, lodano il socio per come è condotto il campo e gli ripetono più d’una colta di non vendere l’uva ai privati.

C’è qualcosa che può indicare più chiarante di così la strada da prendere? Io ho fatto due esempi patognomonici della malattia del nostro paese per dire che o si affronta il problemi dell’ignoranza nel fare cooperazione, azienda o ogni soluzione sarà sempre fallimentare. gennachi nicola


Quando la dialettica del vuoto assurge a docente dell’ignoranza
gennachi nicola
21/09/2008