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11 ottobre 2008

 

Replica al dott. Gennachi
di Giovanni Rolli 


Caro dott Gennachi,
ho letto, con un po’ di ritardo ma con molta attenzione quanto hai scritto, concordo che sei stato molto concreto e non mi lascio sfuggire l’occasione per continuare una discussione, finalmente seria, sulla situazione attuale e sulle prospettive future della viticoltura vegliese.
Ho guidato, insieme ad altri produttori, per diversi anni il Consiglio di Amministrazione della Viticultori Associati e quegli atteggiamenti culturali, di cui tu parli, abbiamo avuto il coraggio di affrontarli ma, ahimè con scarsi risultati. Permettimi, al fine di essere quanto più possibile chiaro, di fornire qualche dato. Negli anni 1997 e 1998, annate discrete, gradazioni medie oltre i 18 gradi zucchero la Cantina ha liquidato le uve a £ 3600 circa il grado, nel 1999 gradazione 16,5 a £ 2850; nel 2000 gradazione 19 a £ 3400; nel 2001 gradazione 18 ad € 1.6. Prezzi come si vede, in linea se non superiori, con buona pace dei nostri detrattori, alle Cantine vicine che ora, ci vengono additate come esempio. Sottolineo inoltre, che in quel periodo la base sociale della Cantina di via Fratelli Bandiera era in maggioranza costituita da soci provenienti da Leveranno. Ma, al di là di ogni intento polemico, questi dati possono indurre in errore se non si inquadrano nel periodo a cui essi si riferiscono. Tali risultati, a prima vista, evidenziano che le annate migliori hanno prodotto risultati migliori, ma con onestà intellettuale mi sento di affermare che tali liquidazioni non sono state solamente il frutto di un mercato in grado di premiare la qualità, quanto e soprattutto gli incentivi per l’avviamento del vino alla distillazione il cui premio raggiungeva spesso il doppio del prezzo che in quel momento poteva offrire il mercato. Fra le varie forme di distillazione ve ne era una che, contrariamente alle altre, era penalizzante ed obbligava tutti i trasformatori, in base alla resa di produzione per ettaro, al conferimento di una certa quantità di vino da distillare. Questo tipo di distillazione aveva creato un mercato parallelo, perchè aziende del nord pur di preservare il loro prodotto di qualità acquistavano vino scadente dalle aziende del sud ( in modo da pagarlo il minor prezzo possibile) vino da conferire, per conto loro, alla distillazione obbligatoria. In questo modo andava via sia il poco prodotto di qualità che quello scadente. In poche parole fino al 1999 abbiamo prodotto quasi esclusivamente vino da destinare alla distillazione. Ma la cuccagna stava per finire, infatti nel 1998 la CEE emanava con una serie di regolamenti l’Organizzazione Comune dei Mercati (che andrà a regime nel 2000) in cui abolisce le distillazioni agevolate ed obbliga quindi ogni azienda a mettersi sul mercato.
Queste novità furono dal CdA della Viticultori Associati percepite ed assimilate per tempo e trasmesse ai soci ripetendole fino alla nausea nelle numerose assemblee, tali soci furono invitati a cambiare modo di produrre, e a supporto fu stipulato un accordo con il Consorzio di Tutela delle colture intensive della Provincia di Lecce che creò dei campi pilota distribuiti in vari punti del feudo di Veglie per monitorare la presenza di patologie della vigna, individuando nel contempo i prodotti fitosanitari più adeguati, i tempi e i modi per interventi mirati al fine di ottenere un prodotto migliore. Fu una fatica immane convincere le persone a partecipare al progetto infatti su una base sociale di 600 soci ne aderirono una decina , l’anno successivo ne parteciparono solo due. Anche sul piano commerciale si capì benissimo che le cose dovevano necessariamente cambiare, si decise quindi di incentivare la vendita del vino confezionato, fu acquistata una nuova linea di imbottigliamento e due annate discrete 2000 e 2001 ci permisero una buona penetrazione nel settore di mercato dominato dalla Grande Distribuzione. Ci rendemmo perfettamente conto che per acquisire fette di mercato più remunerativo, richiedeva ulteriori investimenti in tecnologia e risorse umane che da soli non potevamo sopportare tali spese anche perché nel frattempo, grazie(?) agli espianti, la produzione andava diminuendo. Lanciammo così l’ipotesi della fusione con la Cantina Sociale di Veglie e furono avviati i primi incontri per valutare la fattibilità. Nella base sociale che già aveva mal digerito, non si capisce perché, la commercializzazione del vino confezionato scoppiò il finimondo che culminò con la presentazione in assemblea di una mozione, che fu approvata in maggioranza, in cui si faceva assoluto divieto al Presidente e al Consiglio di Amministrazione di proseguire sotto qualsiasi forma trattative per giungere alla fusione. Il tempo ha dimostrato che sia per il prodotto confezionato (attualmente si vende mezzo milione di bottiglie) sia la fusione a cui si è forzatamente arrivati dieci anni dopo erano strategie vincenti e, se affrontate in modo diverso e in tempi più opportuni avrebbero dati sicuramente risultati diversi. Questa esposizione di fatti inconfutabili da chiunque, non vuole essere una autoassoluzione di tutte le “nefandezze” di cui io in prima persona insieme agli altri amministratori siamo stati da alcuni soci accusati, tali soci hanno tralasciato il fatto che i risultati di qualsiasi impresa non possono essere disgiunti dalla produzione, nè la gestione non può dare risultati positivi se su una pessima produzione di uva il cui valore è stimato in € 136.000 circa se ne spendono poco meno di € 90.000 in prodotti enologici e MCR per rendere potabile il vino che se ne è ricavato (dati bilancio 2006 CVA).
Come vede dott. Gennachi, noi come amministratori crediamo di aver fatto tutto il possibile per trasformare i contadini in agricoltori o meglio in viticultori, hanno sempre preferito, quando hanno avuto la possibilità, di vendere il loro prodotto; quando non lo voleva nessuno annate 2003,2004, 2005 e successive hanno utilizzato la Cantina come “ammasso” scaricando i loro problemi sugli amministratori ed ergendosi nel contempo a censori dell’altrui operato, indicando nella Cantina di Leverano l’esempio da seguire perché loro sì sanno fare i miracoli; mai chiedendosi perché un acquirente è disposto a pagare un vino al prezzo 10 € presso la Cantina di Leveranno quando lo potrebbe avere a 4€ presso la cantina di Veglie; sarà forse la qualità diversa?
Questo comunque appartiene al passato, pensiamo al futuro.
La fusione è ormai un fatto acquisito, un progetto di ammodernamento tecnologico ed un piano di risanamento delle passività della Cantina era parte integrante del progetto di fusione, bisogna avere solo il tempo per realizzarlo; una base di mercato su cui fare affidamento per ulteriori sviluppi già esiste; il nuovo CdA mi sembra motivato ed attivo a risolvere i problemi. Bisogna acquisire , e questo è sempre il solito grosso problema, la partecipazione e la fiducia della base sociale.
A questo proposito, non sono per niente ottimista, perché mi chiedo come mai il dott Gennachi per professione lontano dal mondo della produzione vitivinicola, ma solo come attento osservatore di ciò che gli succede attorno riesce a focalizzare il problema mentre dagli “addetti ai lavori” si sentono solo “ululati”?
Ma non basta, poiché lo scenario in cui entrambi i criminali decidono di tradirsi a vicenda costituisce anche il peggiore esito possibile dal punto di vista collettivo, poiché determina un totale di 12 anni di carcere da scontare. Quindi anche dal punto di vista collettivo la situazione più favorevole possibile, nel senso di socialmente desiderabile, corrisponde al caso in cui si sceglie una strategia cooperativa che conduce all’assenza di tradimento reciproco. In questo caso, infatti, avrebbero entrambi ottenuto una pena simbolica.
Il dilemma del prigioniero dunque mette in risalto il conflitto tra razionalità individuale, nel senso di massimizzazione dell’interesse personale, ed efficienza, ovvero miglior risultato possibile, sia individuale che collettivo. Applicando una strategia individualistica infatti si ottiene un esito inferiore rispetto a quanto ottenibile nel caso in cui si possa raggiungere un accordo negoziale, oppure nel caso in cui ci si possa fidare dell’altro .


Una considerazione oggettiva è che il dilemma illustra un conflitto tra razionalità individuale e di gruppo: se i membri di un gruppo perseguono razionalmente il proprio interesse, possono ottenere un risultato inferiore ai membri di un altro gruppo che agiscono in modo contrario al proprio individuale vantaggio razionale.


REPLICA AL DOTT. GENNACHI
di Giovanni Rolli
giovanni rolli
13/10/2008