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AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

ON. GIORGIO NAPOLITANO

ROMA


Onorevole Presidente,

sono stato Sindaco del mio paese natio, Veglie (Le) (più 14 mila abitanti), per quasi sette anni, dall’inizio del 1993 alla fine del 1999.

Mi rivolgo a Lei, tenace garante della vita democratica del nostro paese, per porre il problema riguardante il controllo negli enti locali.

Assistiamo a fenomeni di patologie sociali davvero complessi, causa di una mutazione profonda della vita democratica che, misurata ai suoi criteri ideali, ci sconcerta. Uno di questi è la corruzione. Dopo quello della sanità, un settore in cui la corruzione diventa sempre più odiosa e insopportabile è quello degli Enti Locali. E in molti di questi la corruzione ha superato i limiti di guardia. Per questo, le libertà locali, che sono all’origine della democrazia dell’Italia e dell’Europa, percepite dalla gente comune ormai come diritto vitale quasi altrettanto quanto la vita fisica delle persone, sono a rischio.

Negli enti locali, da dieci anni, i controlli non esistono più. Impera la legge dei numeri e delle maggioranze senza alcun controllo. Dopo che il Legislatore ha annullato i controlli esterni (cfr. Coreco) alla vita amministrativa (e ha fatto bene! Dico questo anche per esperienza diretta), il Testo Unico degli Enti Locali  ha previsto una serie di strumenti interni di controllo affidati prevalentemente alle iniziative delle minoranze consiliari. Sono vari. Ma una verifica serena e attenta di essi conduce ad una conclusione amara: sono falliti e la legalità amministrativa sembra non abitare più nei nostri comuni.

Si obietta che non sono da controllare gli atti ma l’attuazione dei programmi. E i cittadini e le minoranze per questo controllo dispongono del voto. Argomento diffuso ma comodo perché non tiene conto che nessun voto potrà riparare omissioni, errori e soprattutto illegittimità compiuti in cinque anni. Si invoca per il controllo la partecipazione più diretta e quasi quotidiana dei cittadini. Ma essa, salvo eccezioni, è scarsa e, spesso, scoraggiata. Ancora più grave appare la percezione comune del fenomeno della corruzione. Abolita la “vergogna sociale” che accompagna chi ruba o chi viola la legge, quasi garantita l’impunità di chi comanda, il resto viene da sé.

Le racconto la paradossale vicenda del mio paese. Nelle elezioni amministrative dell’aprile del 2005 sono eletti il Sindaco e un Consiglio Comunale di 20 consiglieri. Come spesso avviene nei nostri paese è difficile individuare il colore politico della lista vincente, costruita trasversalmente per vincere più che per amministrare.

Dopo una serie di “incidenti di illegittimità” (quelli conosciuti prontamente segnalati dalla minoranza), due assessori e due consiglieri abbandonano la maggioranza e si uniscono all’opposizione. Agli inizi di maggio del 2009 la Procura di Lecce fa perquisire la casa e l’ufficio del Sindaco, indagato per corruzione, come titolano i giornali locali. A fine maggio il Presidente del Consiglio (dello stesso partito del Sindaco), si dimette da consigliere e, subito dopo, si dimettono contemporaneamente altri dieci consiglieri. Il 28 maggio 2009 il Sindaco non ha più una maggioranza. Il consiglio comunale eletto democraticamente nel 2005 non esiste più.

Ma, per un cavillo giuridico utilizzato strumentalmente, dopo quasi quattro mesi, il Sindaco è ancora in carica e la ex maggioranza (nel frattempo divenuta minoranza), amministra (dopo solo due possibili surroghe) con 10 consiglieri, sforna provvedimenti, elargisce nomine…senza la esistenza e la funzionalità di alcuni organi elettivi di controllo.

Gli 11 consiglieri dimissionari si sono rivolti al Tar di Lecce ed hanno avuto ragione (cfr. ordinanza n. 550/09) ma il Consiglio Comunale non è stato sciolto. Il Consiglio di Stato è difficile che si pronunci nel merito in tempo prima del naturale svolgimento delle elezioni amministrative della prossima primavera.

Il Prefetto di Lecce ha segnalato il caso alla Procura del Tribunale ma, ad oggi, di questa segnalazione non conosciamo l’esito.

I segretari di tutti (dico tutti) i partiti politici di centro destra e di centrosinistra del Comune si sono rivolti ai rispettivi segretari provinciali e ai politici salentini per chiedere le dimissioni del sindaco, consapevoli che il problema è prima di tutto politico e poi amministrativo e/o penale. Ma, in risposta, non un solo intervento pubblico: né da destra né da sinistra né da centro. Nemmeno da parte del segretario politico provinciale del partito a cui il sindaco dice di appartenere.

La cancellazione di fatto di qualsiasi controllo, anche politico, sull’attività degli enti locali sta arrecando gravi danni agli interessi non solo del singolo ente civico e delle comunità amministrate ma all’intera Nazione e alla sua unità.

Non mancano, per fortuna ancora, gruppi, settori, pezzi di “società civile” attivi, generosi e preziosi per la realtà concreta della democrazia e per la lotta alla corruzione. In nome di quelli esistenti anche a Veglie mi rivolgo a Lei per chiederLe: “Quando tutte le strade legali del controllo sono state percorse ma sono risultate senza uscita, che fare e a chi rivolgersi?”

 

Veglie (Le) 11 ottobre 2009

 

Prof. Antonio Greco

già sindaco di Veglie

 

Lettera al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
Antonio Greco
19/10/2009