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N. 02986/2009 REG.SEN.

N. 00903/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

Lecce - Sezione Prima

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 903 del 2009, integrato da motivi aggiunti, proposto da: 
Antonio De Bartolomeo, Antonio Greco, Salvatore Vetrano, Alessandro Aprile, Valerio Armonico, Stefania Capoccia, Giovanni Carlà, Fabrizio Stefanizzi, Claudio Paladini, Pompilio Rollo, Cosimo Spagnolo, tutti rappresentati e difesi dall'avv. Gianluigi Manelli, con domicilio eletto presso Gianluigi Manelli in Lecce, via Garibaldi n. 43; 

contro

Comune di Veglie, rappresentato e difeso dall'avv. Ernesto Sticchi Damiani, con domicilio eletto presso Ernesto Sticchi Damiani in Lecce, via 95° Rgt Fanteria n. 9;
Prefettura di Lecce e Ministero dell'Interno, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale Stato, domiciliata per legge in Lecce, via F.Rubichi n. 23; 

nei confronti di

Fernando Fai, Maurizio Spagnolo, Cosimo Mangia, Mario Vittorio Albano, Antonio Cascione, Marcello Vadacca, Antonio Albano, Giovanni Maggiore, Raffaele Ruberti, Francesco D'Elia, Pietro Calcagnile, Giovanni Parente, Cosimo Saponaro, Mario Aprile, Giovanni Carlà, Salvatore Frisenda, Loredana Lecciso, Giovanni Ciullo e Giovanni Milanese, non costituiti; 

per l'annullamento

previa sospensione dell'efficacia,

della delibera di C.C. di Veglie n. 22 del 30 maggio 2009 e della successiva delibera di C.C. del 1° giugno 2009, con la quale è stata deliberata, rispettivamente in prima e seconda convocazione, la surroga del Consigliere dimissionario Prof. Antonio De Bartolomeo e dei relativi avvisi di convocazione del Consiglio Comunale; della successiva delibera di C.C. di Veglie dell’8 giugno 2009 con cui è stata confermata e convalidata la surroga del prof. Antonio De Bartolomeo con il sig. Pietro Calcagnile; di tutte le successive delibere di C.C. di Veglie dell’ 8 giugno 2009, con le quali sono state deliberate le surroghe degli altri 10 Consiglieri dimissionari, sigg.ri Antonio Greco, Salvatore Vetrano, Alessandro Aprile, Valerio Armonico, Stefania Capoccia, Giovanni Carlà, Fabrizio Stefanizzi, Claudio Paladini, Pompilio Rollo e Cosimo Spagnolo, nel rispettivo ordine di presentazione delle dimissioni, e dei relativi avvisi di convocazione del Consiglio; della nota prot. n. 0025637 del 29/5/2009, con la quale il Prefetto di Lecce ha riscontrato la richiesta di chiarimenti avanzata dal Segretario Generale di Veglie, in ordine agli effetti prodotti dalle dimissioni rassegnate dagli 11 consiglieri comunali ricorrenti, negando l'avvio della procedura di cui all'art. 141, co. 1, lett. b), n. 3, D.Lgs. n. 267/00, e, comunque, ritenendo le stesse dimissioni valide ai sensi dell'art. 38 D.Lgs. n. 267/00; della delibera consiliare n. 34 del 10 agosto 2009 con la quale è stata disposta la surroga del consigliere dimissionario sig. Milanese; di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale ed, in particolare, ove occorra, del parere del Ministero dell'Interno di estremi sconosciuti, richiamato nella nota prot. n. 0025637 del 29 maggio 2009;

 


Visto il ricorso ed i motivi aggiunti, con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Veglie;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Prefettura di Lecce;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;

Viste le memorie difensive rispettivamente prodotte dalle parti costituite;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21/10/2009 il dott. Massimo Santini e uditi per le parti gli Avv.ti Manelli, Colangelo e Sticchi Damiani;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

 


FATTO

In data 28 maggio 2009, il sig. De Bartolomeo si recava presso l’ufficio del protocollo del Comune di Veglie al fine di rassegnare le proprie dimissioni dalla carica di consigliere comunale. Dette dimissioni venivano protocollate alle ore 13:46 ed acquisite al n. 7576.

Alle ore 14:00 il predetto ufficio, onde consentire la pausa pranzo dei relativi addetti, veniva chiuso come da orario di servizio sino alle ore 15:30.

Alla riapertura, altri dieci consiglieri rassegnavano le proprie rispettive dimissioni, le quali venivano protocollate alle ore 15:32 ed acquisite ai numeri da 7578 a 7587.

Durante l’orario di chiusura del protocollo, il vice presidente del consiglio comunale aveva tuttavia già provveduto a convocare in via straordinaria il consiglio comunale ai fini della surroga del primo dei dimissionari, ossia il sig. De Bartolomeo. Tale comunicazione veniva protocollata, peraltro ad opera di personale non addetto al protocollo, alle ore 14:09 ed acquisita al numero 7577.

Il segretario generale domandava allora chiarimenti alla prefettura di Lecce in ordine alla possibile applicazione, o meno, degli effetti dissolutori di cui all’art. 141 del TUEL.

La prefettura medesima riscontrava la predetta nota affermando in sintesi che, “tenuto conto del consistente lasso di tempo intercorrente tra il primo atto di dimissioni ed i successivi dieci non ricorrono le condizioni richieste per l’attivazione della menzionata procedura prevista dall’art. 141 comma 1 lett. b) n. 3. In ogni caso, pur non configurandosi l’ipotesi dissolutoria sopra menzionata, le dimissioni rassegnate alle ore 15:34 dai dieci consiglieri comunali devono considerarsi valide”.

Poiché nel frattempo si era proceduti alla surroga di tutti gli undici consiglieri dimissionari, gli stessi interponevano ricorso per violazione e falsa applicazione dell’art. 141 del TUEL (mediante diffuse argomentazioni che formeranno oggetto di più ampia trattazione nella parte in diritto della presente sentenza) nonché, in via subordinata, per violazione dell’art. 38 del medesimo testo unico nella parte in cui si è comunque proceduti alla surroga, altresì, dei successivi dieci dimissionari.

Si costituiva in giudizio il Comune di Veglie per chiedere il rigetto del gravame.

Con ordinanza n. 550 del 1° luglio 2009, questa sezione accoglieva l’istanza di tutela cautelare.

Con decreto presidenziale n. 3433 del 2009, il Consiglio di Stato ha sospeso l’efficacia della predetta ordinanza, fissando la camera di consiglio del 21 luglio 2009 per la discussione dell’appello cautelare.

Nelle more, gli odierni ricorrenti hanno tuttavia formalizzato atto di rinunzia all’istanza cautelare proposta con il presente ricorso ed agli effetti della richiamata ordinanza n. 550 del 2009.

Di conseguenza, il Consiglio di Stato ha preso atto della sopravvenuta carenza di interesse emettendo pronunzia di annullamento senza rinvio.

A seguito della surroga dei consiglieri dimissionari avvenuta, tra l’altro, con il sig. Milanese, anche quest’ultimo, in data 10 luglio 2009, si dimetteva a sua volta e veniva conseguentemente surrogato, con il sig. Calcagnile, mediante delibera consiliare n. 34 in data 10 agosto 2009. Avverso tale atto di surroga venivano proposti motivi aggiunti che ricalcano, in sostanza, quelli già prospettati nel ricorso originario.

Alla pubblica udienza del 21 ottobre 2009 le parti rassegnavano le proprie rispettive conclusioni e la causa veniva infine trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Come noto, l’art. 141, comma 1, lettera b), n. 3, del decreto legislativo n. 267 del 2000, prevede che “i consigli comunali vengono sciolti … (per) cessazione della carica per dimissioni contestuali, ovvero rese anche con atti separati purché contemporaneamente presentati al protocollo dell’ente, della metà più uno dei membri”.

La disposizione appena richiamata attribuisce specifica rilevanza al collegamento esistente tra la volontà dei singoli consiglieri (purché nel numero complessivamente superiore alla metà dei componenti) in funzione dell’obiettivo unitario dello scioglimento, che si concreta nella inscindibilità del legame risultante dalla contestualità delle dimissioni rese con un unico atto ovvero dalla sostanziale simultaneità della protocollazione degli atti separati recanti le dimissioni (cfr. Cons. Stato, sez. V, 30 maggio 2003, n. 2975).

In altre parole, la contestualità o simultaneità delle dimissioni vale a caratterizzare le dimissioni ultra dimidium e a dimostrare l’esistenza di una determinata volontà concordata diretta allo scioglimento dell’organo.

La giurisprudenza, al fine di scongiurare il pericolo, assai concreto, che l’effetto dissolutorio sia collegato alla casuale sommatoria di dimissioni dovute a vari motivi o, addirittura, risulti il frutto di manovre surrettizie ad opera di minoranze politiche (fenomeno del c.d. “aggancio”), ha affermato che il ridetto requisito della simultaneità possa ritenersi soddisfatto allorché gli atti siano assunti nello stesso momento giuridicamente inteso, ossia nella stessa giornata (poi ridotta alla “stessa ora”), con protocolli caratterizzati dalla stretta sequenza numerica (cfr. Cons. Stato, sez. I, 10 ottobre 2002, n. 3049; sez. V, 10 gennaio 2005, n. 29).

2. Tanto premesso osserva il collegio che, dall’esame degli atti complessivamente impugnati, emerge che il richiamato nesso di stretta contemporaneità (stessa ora) e sequenzialità (in merito al numero dei protocolli) sarebbe stato interrotto dall’avviso di convocazione ai fini della surroga del primo consigliere dimissionario (avviso accompagnato peraltro da un numero di protocollo interposto tra il primo atto di dimissione e gli altri dieci), nonché in considerazione del “consistente lasso di tempo intercorrente” tra i due ridetti momenti (prima dimissione e successive dieci). In altre parole, i gravati provvedimenti di surroga sarebbero stati adottati sul presupposto della assenza di contestualità tra tutte le dimissioni rassegnate.

Il collegio è dunque chiamato a verificare se questi tre fattori, rispettivamente di carattere “procedimentale” (l’avviso di convocazione del consiglio ai fini della surroga), “gestionale” (l’atto di convocazione protocollato in uscita) e “temporale” (il lasso di tempo sostanzialmente intercorso tra la prima dimissione e le altre dieci), siano effettivamente idonei, o meno, ed interrompere il suddetto nesso di stretta sequenzialità e contemporaneità.

2.1. Quanto al fattore “procedimentale”, il quale si innesta all’interno della procedura di dimissioni e conseguente surroga oppure scioglimento (a seconda delle ipotesi ricorrenti), si rileva in via preliminare che i consiglieri comunali, quali rappresentanti dell’amministrazione, hanno accesso agli uffici indipendentemente dall’apertura al pubblico con l’unico limite del rispetto degli orari del personale amministrativo.

Pertanto, la formalizzazione dell’avviso di convocazione avvenuta “a sportello chiuso” (ossia attraverso modalità non altrimenti consentite agli altri consiglieri comunali) rappresenta una violazione delle norme che regolano la gestione del protocollo che, dato l’assetto di interessi in giuoco, non rileva quale mera irregolarità procedimentale quanto, piuttosto, alla stregua di vera e propria illegittimità di carattere sostanziale.

E ciò nella assorbente considerazione secondo cui, in un contesto ove si registrano contrapposti interessi da parte dei diversi attori istituzionali a vario titolo coinvolti nella vicenda qui oggetto di controversia (da una parte, coloro che intendono sciogliere il consiglio; dall’altra parte, coloro che invece vogliono evitare detta conseguenza), le regole – anche quelle di rilievo meramente interno all’ente, che tuttavia in questa fattispecie assumono carattere determinante – debbono essere applicate per tutti allo stesso modo, senza eccezioni: in altre parole, tutti debbono “correre ad armi pari”.

Oltre alla prospettata violazione di legge sussiste dunque un evidente vizio di disparità di trattamento tra i consiglieri dimissionari, i quali per esprimere la propria volontà hanno dovuto attendere la riapertura dell’ufficio di protocollo, ed altri soggetti istituzionalmente rilevanti del medesimo ente che, al fine di scongiurare il disegno che la maggioranza dei consiglieri si proponeva di perseguire (lo scioglimento dell’organo), hanno invece avuto (illegittimo) accesso al sistema informatico nell’orario di chiusura del protocollo stesso.

Ne deriva, da quanto sopra evidenziato, l’illegittimità dell’avviso di convocazione per la violazione delle disposizioni che regolano l’accesso al protocollo da parte dei rappresentanti dell’amministrazione comunale.

2.2. Viene conseguentemente meno l’esigenza di esaminare la sussistenza del fattore “gestionale” il quale, attenendo per l’appunto alle modalità di tenuta del protocollo informatico, è da ascrivere in questo caso alla presenza di un protocollo (il numero 7577, corrispondente all’avviso di convocazione ai fini della surroga del primo dimissionario) frapposto tra il primo atto di dimissioni ed i successivi dieci.

Ed infatti, venendo meno l’avviso di convocazione adottato “a sportello chiuso” viene anche meno il corrispondente numero di protocollo, così eliminandosi quella frammentazione numerica che avrebbe interrotto la necessaria stretta sequenzialità dei protocolli concernenti le dimissioni.

E ciò a tacere del fatto che, secondo un certo orientamento giurisprudenziale (Cons. Stato, sez. V, 22 aprile 2009, n. 2476, cit.), la protocollazione di atti “in uscita” come quello in esame non sarebbe stata comunque idonea ad interrompere la sequenza dei documenti “in entrata”.

2.3. In merito al fattore “temporale”, legato ossia al lasso di tempo intercorso tra la prima e le altre dieci dimissioni, ai fini della ricorrenza o meno del requisito della contemporaneità già l’adunanza plenaria (26 aprile 1993, n. 10) aveva ritenuto che le dimissioni ultra dimidium potevano produrre gli effetti tipici dello scioglimento del consiglio a condizione che venissero presentate nell’arco temporale della medesima giornata. Tale arco temporale è stato poi ristretto alla “stessa ora” (Cons. Stato, sez. V, 10 ottobre 2005, n. 29).

Ora, se si tiene conto degli orari di chiusura dell’ufficio del protocollo, nonché della circostanza che l’avviso di convocazione è da ritenersi privo di effetti per i motivi sopra enunciati, appare evidente che, in concreto, il periodo intercorso tra il primo atto di dimissioni ed i successivi dieci è pari a circa quindici minuti, ossia un arco di tempo non giuridicamente apprezzabile (data la sua evidente esiguità) e tale da non far venire meno, nell’ottica della sostanziale simultaneità, la finalità perseguita dai dimissionari.

Onde pervenire alla suddetta conclusione è dunque necessario esaminare la questione sia sul piano del “consistente lasso di tempo” evidenziato dalla prefettura (pari a quasi due ore), sia sul piano del tempo residuo tra la prima e le altre dieci dimissioni qualora non si computi l’orario di chiusura del protocollo (circa quindici minuti).

2.3.1. Ad avviso del collegio, la frammentazione temporale invocata dalla amministrazione comunale e dalla prefettura (pari di fatto a quasi due ore) rileva in termini eminentemente fattuali, essendosi verificata per esigenze di servizio degli uffici comunali e per motivi estranei alla volontà dei dimissionari (i quali, secondo quanto riferito dalla difesa di parte ricorrente, sarebbero giunti “presso la Casa Comunale di Veglie qualche istante dopo la chiusura dell’Ufficio Protocollo”).

In tale prospettiva, la chiusura del protocollo (dalle 14 alle 15,30) rappresenta infatti una vicenda organizzativa interna alle strutture amministrative, inidonea a fare venire meno il requisito della “contemporaneità” delle dimissioni medesime e dunque ad impedire il rispetto delle modalità a tal fine indicate dalla giurisprudenza amministrativa, ossia la presentazione delle suddette dimissioni nello stesso giorno e nella stessa ora (cfr. Cons. Stato, sez. V, 10 gennaio 2005, n. 29, cit.).

Si tratterebbe in altre parole di frammentazione temporale “di fatto” ma non anche “di diritto”.

In questi termini, ossia in ragione della sussistenza di fattori esterni e indipendenti dalla volontà dei dimissionari, vi è dunque analogia con la decisione n. 2476 del 22 aprile 2009 della quinta sezione del Consiglio di Stato: ed infatti, mentre in quest’ultimo caso la contemporaneità era venuta meno per problemi di funzionamento del protocollo, nel caso di cui si discute la frammentazione temporale è da ascrivere ad esigenze di servizio estranee, anch’esse, alla sfera di intervento dei consiglieri interessati.

2.3.2. Quanto, poi, alla sussistenza di uno stacco temporale residuo pari a circa quindici minuti (tra la prima e le altre dieci dimissioni, se si omette il tempo di chiusura del protocollo), si tratta ad avviso del collegio di un arco di tempo così ristretto da farlo considerare, in termini di logicità, ragionevolezza e proporzionalità, sostanzialmente unitario e dunque tale da implicare una sostanziale contemporaneità delle volontà rispettivamente manifestate.

D’altra parte, quello di contemporaneità è un concetto sì rigoroso ma non al punto da comportare determinati adempimenti e formalità che, in concreto, possano impedire l’operatività dell’istituto e dunque vanificare le finalità perseguite dal legislatore (una presenza simultanea di tutti i consiglieri dimissionari all’ufficio del protocollo, oltre a non essere affatto prevista dalla normativa sopra riportata, potrebbe infatti risultare preclusa da qualsivoglia tipo di impedimento).

2.3.3. Alla luce di quanto sopra affermato, le suddette dimissioni possono pertanto considerarsi come avvenute in sostanziale contemporaneità, ovvero in momenti di fatto separati ma con distacco non giuridicamente apprezzabile e tale da far venir meno la finalità perseguita dai dimissionari.

2.4. Ne consegue la sostanziale continuità o meglio simultaneità delle dimissioni – come rilevabile dalla concreta connessione temporale e dalla effettiva sequenzialità circa la numerazione dei protocolli – che dunque costituiscono espressione di inequivoca (e soprattutto condivisa) volontà di provocare lo scioglimento del consiglio comunale.

Ad ulteriore dimostrazione della mancanza di un intento speculativo in tale senso (c.d. aggancio) non si trascuri poi la circostanza che i dieci successivi atti di dimissione sono stati autenticati in data anteriore (27 maggio 2009) rispetto a quella delle dimissioni poi effettivamente presentate anche dal primo di essi (28 maggio 2009).

Non rileva infine il diverso contenuto tra la prima delle dimissioni e le successive dieci, trattandosi di atti giuridici in senso stretto.

3. Stante la fondatezza del motivo di ricorso appena esaminato, il collegio non è tenuto ad affrontare anche il secondo, data la sua proposizione in via del tutto subordinata al mancato accoglimento del primo.

4. Alla luce di quanto sopra affermato il ricorso è fondato e deve essere pertanto accolto.

Per l’effetto, vanno annullati tutti gli atti in epigrafe indicati.

Stante la novità e la particolare complessità della questione, sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Lecce, prima sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 903/2009, lo accoglie e, per l’effetto, annulla tutti gli atti in epigrafe indicati.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 21/10/2009 con l'intervento dei Magistrati:

 

 

Aldo Ravalli, Presidente

Luigi Viola, Consigliere

Massimo Santini, Referendario, Estensore

 

 

 

 

   
   
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
   
   
   
   
   

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 03/12/2009

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

IL SEGRETARIO



IL TAR MANDA A CASA SINDACO E CONSIGLIERI. ECCO LA SENTENZA.
DAL SITO TAR DI LECCE
4/12/2009