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«Terra, terra!»
La Puglia del 1950 e la rivolta in bicicletta


di VITO ANTONIO LEUZZI 

Il più imponente movimento di lotta per la terra si sviluppò tra la fine di dicembre del 1949 e gli inizi di gennaio del 1950 nell’Arneo, un’immensa estensione di terre comprese tra il territorio di Manduria nel Tarantino e quello di Nardò nel Leccese. Migliaia e migliaia di contadini poveri e braccianti dell’area ionico-salentina provenienti da diversi paesi, tra cui Veglie, Copertino, Leverano, Nardò, Carmiano, Monteroni, Salice e Campi Salentina, occuparono una parte dei vasti latifondi che appartenevano a poche grandi famiglie, fra cui Tamborrino, Bozzi Colonna, barone Personè, principessa Ruffo. 

La descrizione della condizione di abbandono e di miseria di quest’area del Salento è contenuta in un significativo racconto del poeta Vittorio Bodini che assieme a un giornalista romano si recò in quell’area nei giorni dell’occupazione: «Siamo in una landa macchiosa che ci circonda a perdita d’occhio, tutta groppe ispide come d’una sterminata mandria di bufali. Solo verso oriente una striscia di sole rimbalzando su un rialzo di terra scopre una piccola costruzione abbandonata, deve essere la torre del Cardo, dove dicono vi sia un tesoro sotterrato. L’abbandono dei luoghi, che furono fino a un secolo fa ricetto di briganti, e la miseria profonda dei paesi che vivono intorno all’Arneo sono buon alimento a simili leggende. Ma dei 42.000 ettari che occupa e che sottrae alla vita delle popolazioni, la parte maggiore, e per disgrazia la più deserta, la più ispida è priva d’acqua, di comunicazioni e di ogni altro segno umano che non siano i cartelli di caccia riservata». 

In questo «grosso bubbone all’incrocio di tre provincie», come lo definì Bodini, si concentrarono le speranze di cambiamento dell’intero movimento contadino della parte meridionale della Puglia. Dai racconti dei protagonisti, raccolti alcuni anni fa dall’Istituto Gramsci di Bari, si evidenziarono aspetti antropologici e politico-culturali inediti. Si apriva una «nuova epoca», affermavano alcuni intervistati, all’insegna di una grande umanità e solidarietà: «Guardando l’immensità del territorio incolto, guardando le macchie dell’Arneo, nacque la necessità impellente di liberarsi dal mercato libero di piazza e di avere un pezzetto proprio di terra». 

Per sfuggire ai controlli della forza pubblica (carabinieri, polizia e persino un battaglione mobile) gli occupanti si spostavano di notte da una zona all’altra, utilizzando soprattutto le biciclette. Il ministro della Difesa dell’epoca, secondo i giornali d’opposizione, fece ricorso ad aerei militari per consolidare l’opera di controllo della forza pubblica che non riusciva a tenere sotto controllo un’area così vasta. La diffusione a macchia d’olio delle occupazioni venne così descritta da alcuni protagonisti: «Vedemmo questo movimento sull’Arneo che da poche centinaia arrivò ad alcune migliaia, ma non solo di migliaia di braccianti ma bensì di contadini poveri con l’appoggio di tutta la popolazione... per parecchie settimane, 40 giorni e 40 notti, circondati dalla polizia ma alimentati dalla solidarietà della popolazione. Chi dava il vino, chi dava la pasta, chi dava l’olio, il pane quotidiano».

In coincidenza con la fine dell’anno 1949 furono arrestati numerosi dirigenti sindacali, dei diversi paesi coinvolti nell’occupazione, assieme al segretario della Camera del Lavoro di Lecce; mentre un funzionario di pubblica sicurezza impartì l’ordine di sequestrare e distruggere centinaie di biciclette che furono incendiate. Scioperi e manifestazioni si susseguirono in molti comuni tra cui Galatina, Casarano, Surbo. I più noti avvocati dell Pci e del Psi tra cui Lelio Basso, Umberto Terracini, il pugliese Mario Assennato prestarono la loro opera a difesa di oltre cento arre stati. La condizione di disperazione delle famiglie contadine di Veglie, uno dei paesi più colpiti dalla violenza poliziesca venne così presentata nel racconto di Bodini: «A molti di questi uomini le feste hanno portato quest’anno la perdita del loro unico bene: la bicicletta. È la cosa più atroce che si poteva fare. La bicicletta distrutta significherà migliaia di chilometri a piedi e notti passate nella nuda campagna, anche d’inverno». 

L’occupazione dell’Arneo si protrasse nel nuovo anno, il 1950, senza dar luogo ad incidenti anche per l’invito alla moderazione ed alla non violenza rivolta ai lavoratori da Giuseppe Di Vittorio che non si stancava mai di ripetere nelle manifestazioni: «È ora di costruire non di distruggere». Il prefetto di Lecce, anche per l’eco in Parlamento di quella vicenda e per la scelta di Alcide De Gasperi, presidente del Consiglio dei Ministri, favorevole alla Riforma Agraria, varata nel 1950, dopo una riunione con i rappresentanti del mondo del lavoro, assunse l’impegno di far ritirare la polizia e di far assegnare con contratti di enfiteusi le terre incolte e mal coltivate.

da: www.lagazzettadelmezzogiorno.it



«Terra, terra!» La Puglia del 1950 e la rivolta in bicicletta
Vito Antonio Leuzzi
30/12/2009