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A ROSARNO Qualche giorno fa, riferendomi ai fatti di Rosarno, non senza aver prima sottolineato che la violenza, bianca o nera che sia, non è mai accettabile, né condivisibile, avrei detto così: Mi accodo a Dario Ciccarese, per dire, senza remore, che a pronunciare le parole “TROPPA TOLLERANZA” è stato il Ministro dell’Interno. La faccio pure mia quella frase, ma mi discosto da Roberto Maroni, perché troppa tolleranza vi è stata sì, ma verso chi, a Rosarno stavolta, -ma è capitato anche altrove-, ha finto di non vedere e di non sapere, finché il caos ha preso il sopravvento. Sì, vi è stata troppa tolleranza, verso chi, conoscendo il territorio con le sue problematiche, e possedendo i requisiti di autorità e responsabilità, avrebbe dovuto monitorare la situazione. Invece, niente. Silenzio su tutto, perché mentre i Neri raccoglievano le arance, gli altri si facevano gli affari propri. Così, nessuno dava fastidio a nessuno. Il popolo africano è mite, perciò non è stato necessario preoccuparsi di lui, finché è rimasto silenzioso e invisibile. Perché scomodare ora il razzismo? E’ di menefreghismo che si tratta. Le immagini trasmesse dalla Televisione sono state sbalorditive: chi poteva sospettare che nel solo paese di Rosarno si fossero concentrati tanti immigrati? Chi s’è mai chiesto come fossero arrivati e da chi fossero stati accolti, se non addirittura invitati? Chi, col lavoro, ha offerto un piatto caldo ed un letto dove riposare dopo la fatica giornaliera? Chi ha pattuito la paga? Chi s’è preoccupato che non esistesse il caporalato pronto a trarre profitto dalla già inique retribuzioni? Chi si è inoltrato nel dormitorio-tugurio, dove ognuno di loro aveva cercato di crearsi un minimo di privato, per verificare le condizioni igieniche? Chi? Nessuno, finché qualcuno s’è rifiutato, dopo aver lavorato in nero, percependo un salario dimezzato, di essere preso di mira, se pure con arma ad aria compressa. Ed è sceso in piazza, ottenendo la solidarietà dei compagni. Purtroppo la protesta, che sarebbe stata giusta se pacifica, s’è tramutata in scontro, provocando danni a cose e anche a persone del tutto estranee ai fatti. I cittadini di Rosarno, chiamati a gestire una situazione cui erano impreparati, si son sentiti in pericolo, tanto da scendere in corteo per rimproverare allo Stato d’averli abbandonati. Ma il Ministro Maroni li rassicura: a Rosarno lo Stato c’è. Ma se lo Stato c’è oggi, c’era pure prima, quando la popolazione africana lavorava silenziosa in condizioni di sfruttamento, eppure non si è rivelato. Ora s’è fatto sentire in tutta la sua autorità e, con voce grossa, va dicendo che adesso basta, che vi è stata troppa tolleranza e che le leggi vanno rispettate –dagli extracomunitari- . Ritenendo forse banale precisare che le leggi vanno rispettate da tutti. Così i braccianti stranieri vengono allontananti, mentre le arance resteranno a marcire sugli alberi. Ma sul Corriere della Sera del 14 gennaio Che dire? Ora si gira il discorso verso l’ “Insanabile tensione” e il “Grave degrado sociale”… argomenti che accompagnano da sempre i flussi migratori. Facciamo qualche passo indietro, fino al tempo in cui eravamo noi italiani a far pesare sugli altri il nostro stato di emigrati e clandestini? Estrapolando alcuni passaggi dagli scritti di Mons. Giovanni Battista Scalabrini, l’apostolo dei migranti, potremo valutare cosa è cambiato da allora ad oggi. L'incontro di Scalabrini con i migranti «In Milano, di passaggio dalla stazione, vidi la sala, i portici e la piazza invasi centinaia di individui poveramente vestiti: vecchi, uomini nel fiore della virilità, donne che si portavano in collo i loro bambini, fanciulli. Erano emigranti: aspettavano che la vaporiera li portasse sulle sponde del Mediterraneo e di là nelle lontane Americhe. Partivano, alcuni chiamati da parenti che li avevano preceduti nell’esodo, altri senza sapere precisamente ove fossero diretti. Andavano nell’America, ove c’era lavoro ben retribuito per chiunque avesse braccia vigorose e buona volontà. Senza rimpianto si disponevano ad abbandonare la patria perchè pel diseredato la patria è la terra che gli dà il pane Da quel giorno, tutte le volte che mi accade di leggere qualche circolare governativa che mette in guardia contro certi speculatori che fanno vere razzie di schiavi bianchi per spingerli lontano col miraggio di facili guadagni o quando rilevo che i paria degli emigranti sono gli italiani, che i mestieri più vili, sono da essi esercitati, che sono i meno rispettati, mi sento umiliato nella mia qualità di sacerdote e di italiano, mi chiedo di nuovo: come venir loro in aiuto?» (Mons. Giovanni Battista Scalabrini, L’emigrazione italiana in America. Osservazioni. Piacenza: Amico del Popolo, 1887). I capisaldi del pensiero migratorio di Scalabrini «L'emigrazione è legge di natura. Il mondo fisico, come il mondo umano soggiacciono a questa forza che agita e mescola, senza distruggere, gli elementi della vita, che trasporta gli organismi nati in un determinato punto e li dissemina per lo spazio, trasformandoli e perfezionandoli continuamente… Emigrano i semi sulle ali dei venti, emigrano le piante da continente a continente portate dalle correnti delle acque, emigrano gli uccelli e gli animali, e, più di tutti emigra l'uomo, ora in forma collettiva, ora in forma isolata… L'emigrazione è dunque un diritto naturale, inalienabile; è una valvola di sicurezza sociale che ristabilisce l'equilibrio tra le ricchezze e le potenze produttive di un popolo; è fonte di benessere per chi va e per chi resta, sgravando il suolo di una popolazione soverchia e avvalorando la mano d'opera di chi resta; può essere insomma un bene o un male individuale o nazionale, a seconda del modo e delle condizioni in cui si compie, ma è quasi sempre una risorsa umana, poichè apre nuove vie ai commerci, facilita la diffusione dei trovati della scienza e delle industrie, fonde e perfeziona le civiltà e allarga il concetto di patria oltre i confini materiali, facendo patria dell'uomo il mondo» (Seconda conferenza sull'emigrazione tenuta da Scalabrini a Torino nel 1898) Relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazione del Congresso americano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti, Ottobre 1912. […]Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perchè tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perchè poco attraenti e selvatici ma perchè si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro. I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali.” “Propongo che si privilegino i veneti e i lombardi, tardi di comprendonio e ignoranti ma disposti più di altri a lavorare. Si adattano ad abitazioni che gli americani rifiutano pur che le famiglie rimangano unite e non contestano il salario. Gli altri, quelli ai quali è riferita gran parte di questa prima relazione, provengono dal sud dell’Italia. Vi invito a controllare i documenti di provenienza e a rimpatriare i più. La nostra sicurezza deve essere la prima preoccupazione. […] " Ma ancor più rilevante è la proposta di legge (bill) che il signor capitano Celso Moreno faceva presentare or è un anno alla Camera dei Rappresentanti dal senatorte Lovering per colpire il così detto sistema dei padroni; sistema che copre il turpissimo mercato di carne umana." E’ passato tanto tempo, ma pare non sia cambiato granchè. Forse proprio nulla… Ora resta da accennare al grande problema della clandestinità, che è sbagliato guardarlo solo dal lato ordine pubblico, come se solo i clandestini potessero commettere reati. La prima vittima della clandestinità è il clandestino stesso che è una persona che non risulta esserci, ma che c’è. Partito da un luogo sconosciuto, fuggendo da fame e guerra e arrivato non si sa come, si muove tra mille tentazioni e altrettanti pericoli. Potrebbe cadere nella trappola dei malavitosi ed essere sfruttato, maltrattato, senza potersi rivolgere alla Polizia per chiedere aiuto, perché lui stesso è un “fuorilegge”. Potrebbe essere annientato, sparire nel nulla, senza che nessuno potesse muovere un dito per lui. (non possiamo dimenticare le povere giovani donne chiuse in sacchi della spazzatura e buttate sulla scarpata). Riemergere, riappropriarsi della propria identita assumendosi i doveri, ma anche i diritti, non può che essere il suo desiderio. Ora su di lui grava il “reato di clandestinità” che, con le sanzioni collegate, può generare ulteriori timori: speriamo non risulti essere un’ulteriore barriera che si frappone tra il clandestino e la legalità. Siglare accordi con gli Stati extracomunitari affinché blocchino alle frontiere il flusso migratorio, come stanno facendo le autorità, può aiutare a risolvere il grave problema? Quando s’erano emanate leggi per regolamentare il flusso migratorio degli italiani verso l’America, Giovanni Battista Scalabrini, scriveva fra l’altro: […] le misure di polizia non arrestano, bensì deviano dai nostri ad altri porti le masse migratorie, rendendo così più doloroso e più dispendioso l’esodo dei nostri connazionali. Gli ostacoli artificiali non trattengono le correnti, ma le fanno rigurgitare, aumentandone e rendendone più rovinoso l'impeto. […] (G.B. Scalabrini, Il disegno di legge sull’emigrazione italiana. Osservazioni e proposte di un vescovo, 1887) dania A ROSARNO LA POPOLAZIONE AFRICANA NON E' PIU' INVISIBILE dania 18/01/2010 |