IL TRAPPETO IPOGEO DI LARGO S. VITO

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DOCUMENTAZIONE FOTOGRAFICA

   1 -  Trappeti ipogei del Salento: lineamenti storici.

Il paesaggio della terra del Salento è costellato di oliveti secolari che fanno da cornice a numerosi e altrettanto secolari frantoi o trappeti ipogei.

Essi occupano un posto di notevole interesse nel panorama architettonico-culturale di Terra d'Otranto e possono essere annoverati tra i più peculiari esempi di manufatti archeo-industriali presenti sul territorio salentino. «I trappeti sono generalmente tra noi tante grotte sotterranee scavate nel Tufo, o in una specie di pietra calcarea più, o meno dura detta volgarmente Leccese». Così Cosimo Moschettini, medico e studioso di "rustica olearia economia", nel suo trattato Osservazioni intorno agli ostacoli dei trappeti feudali edito a Napoli nel 1792, descriveva le strutture ipogee dove avveniva la trasformazione delle olive in olio.

I frantoi presenti sul territorio del Salento, realizzati nei secoli XV-XIX, sono prevalentemente ipogei, ricavati nel banco roccioso; pochi sono i semi-ipogei. La Terra d'Otranto (l'antica Terra d'Otranto era divisa in quattro circondari e comprendeva Lecce, Gallipoli, Brindisi e Tarante) nel 1880-1890 aveva oltre 1800 frantoi ipogei e semi-ipogei.

I trappeti sono sottostanti al piano stradale e raggiungono una quota di calpestio che varia da metri 3.00 a metri 4.50 circa: la loro altezza media all'interno varia da metri 1.70 a metri 3.00 circa.

Il fatto che fossero ipogei, scavati sottoterra, era studiato appositamente al fine di ottimizzare la conservazione del prodotto: la struttura, infatti, doveva avere una temperatura calda e costante (oscillante tra i 18 e i 20 gradi centigradi), tale da favorire il deflusso dell'olio quando la pasta delle olive macinate erano sottoposte alla torchiatura e alla separazione dell'olio dalla sentina che si depositava nei pozzetti di decantazione.

Dalla comparazione delle diverse tipologie (pianta longitudinale, mistilinea e articolata) di frantoi indagati sul territorio salentino (oltre 50) si è potuto individuare uno schema costruttivo comune a tutte e tre le tipologie:

l'accesso agli ambienti per mezzo di una scala, prevalentemente a rampa rettilinea, ricavata in parte nel banco roccioso e in parte coperta con una volta "a botte";

ai lati della scala sono ubicati alcuni ambienti (sciave) in cui erano depositate le olive in attesa della molitura.

La scala immetteva in un grande vano, luogo centrale della lavorazione (qui avvenivano le operazioni di macinazione delle olive e spremitura della pasta) dove, ancora oggi, vi è la vasca per la molitura costituita da una piattaforma circolare (circa metri 3.00 di diametro) su cui è ubicata la grossa pietra molare (circa metri 1.60 di diametro e dello spessore di circa metri 0.55), o le pietre molari, di calcare duro idoneo a schiacciare, frangere e impastare le olive. Adiacente al grande vano della molitura vi è un altro ambiente dove erano posti i torchi alla "calabrese" e i torchi alla "genovese". Gli altri ambienti presenti erano destinati al riposo dei "trappetari", a stalla per il mulo, a deposito dove vi erano le pile per conservare l'olio e a deposito per la sansa, inoltre si scorgono altri piccoli vani dove vi era il camino oppure dove i trappetari consumavano i pasti quotidiani.

 

2- Cronistoria del trappeto "nella strada di S. Vito".

La struttura ipogea in esame è parte integrante di una più vasta realtà esistente nel centro storico di Veglie, dove vi erano e vi sono -trasformati in cantine o depositi- altri trappeti ipogei e semi-ipogei.

Dalla lettura del Catasto Onciario di Veglie del 1749 risulta che erano in ordine cinque trappeti che appartenevano ai beni "estrapatrimoniali": del sacerdote don Pietro Favale; di donna Anna Alvares de Valdes di Napoli "commorante nella città di Nardo, vedova del quondam don Giovanni Bernardino Manieri"; un terzo trappeto era ubicato nella zona della "Mortella"; un quarto, nella zona di "S. Antonio" e il quinto -l'ipogeo da noi indagato- apparteneva a don Nicola Maria Greco "capitano tenente dell'illustre Principe di Squinzano" che possiede nel "suo proprio palazzo nella strada di S. Vito un trappeto di sotto detto palazzo in ordine".

Nel Catasto Onciario del 1763 invece ne risultano in ordine solo quattro.

A distanza di circa un secolo, tra il 1860 e il 1880, nel territorio di Veglie (che apparteneva al circondario di Brindisi) erano attivi nove trappeti che molivano olive per circa quattro mesi l'anno e vi lavoravano quaranta-cinquanta "trappetari". Questi ultimi quattro frantoi, che sono in parte semi-ipogei, vengono edificati tra la fine del secolo XVIII e i primi anni del secolo XIX. L'ipogeo ubicato in Largo S. Vito è stato interamente scavato nel banco roccioso di tufo e lo si può ascrivere al secolo XVI.

Il trappeto apparteneva ai beni del già citato don Nicola Maria Greco (cfr. A.S.L., Catasto Onciario di Veglie del 1749, c.135v.) ed è ubicato sotto le abitazioni -ora non più esistenti perché cadute per fatiscenza negli anni ottanta del nostro secolo- "nella strada di San Vito". Nel 1763 il trappeto passa al figlio don Pasquale Greco (cfr. A.S.L., Catasto Onciario di Veglie del 1763, c. 242v.) e poi alla figlia che lo vende nei primi anni del secolo XIX. L'organismo architettonico è composto da diversi ambienti -vani per la molitura e la torchiatura, depositi per le olive "sciave", stalla, depositi- ai quali si accede da una scala, in origine a due rampe a L, dove, per oltre tre secoli, è avvenuto il processo produttivo di trasformazione delle olive in all'olio. L'opificio ha smesso il suo ciclo produttivo tra la fine del secolo XIX e i primi anni del secolo XX.

Da quando ha smesso il ciclo produttivo, il trappeto è stato lasciato nel più totale abbandono; ma il degrado ambientale più evidente -in Largo S. Vito- lo si è avuto quando caddero, perché fatiscenti, le abitazioni soprastanti (1980 circa).

La struttura ipogea fu completamente obliterata dai conci di pietra leccese caduti; ma vive ancora nella memoria di qualche anziano che con nostalgia e lucidità ricorda i "luoghi del lavoro" dove qualche suo caro trascorreva giorni, mesi, anni diventando così il motore di quel processo produttivo.

Da: Progetto definitivo ed esecutivo per il recupero del trappeto ipogeo di Largo San Vito. 
Progettista Arch. Antonio Monte.