La SHOAH
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da: Dania, 27 gennaio 2002 * "Articoli Vari"
Il
27 gennaio Legge n. 211 del 20 luglio 2000 Istituzione del "Giorno della Memoria" in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti. La Camera dei deputati e il Senato della Repubblica hanno approvato; IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA PROMULGA la seguente legge Art. 1 La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, e a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetti i perseguitati.
Art. 2
In occasione del "Giorno della memoria" di cui all’articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico e oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere. La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato. Data a Roma, addì 20 luglio 200 CIAMPI |
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(pagina tratta da : Il Giorno della Memoria – webTiscali.it/Sabiam/Default.htm) | ||
Neppure mi sfiora l’idea di tenere una lezione di Storia. Non ne sarei in grado. Ognuno di noi, se lo desidera, leggendo i giornali, ascoltando la radio, guardando la televisione o navigando su internet, potrà trovare il modo di allargare le sue conoscenze in merito alle persecuzioni razziali, all’Olocausto. Desidero, invece, condividere con Voi la mia piccola esperienza vissuta. Piccola, ma significativa, perché, come sempre accade, i grandi avvenimenti riescono a colpire molto più nel profondo dell’anima quando hanno un volto o un nome conosciuto a darne riscontro e testimonianza. Primo Levi: dopo aver letto i suoi libri testimonianza sulla prigionia ad Auschwitz “Se questo è un uomo” e subito di seguito, “La Tregua”, me ne era derivata una tale triste emozione da farmi sentire in colpa, da farmi vergognare di appartenere al genere umano. Ed ero rimasta sorpresa, sbalordita nel leggere che lui, toccando la Terra di Germania dal ritorno dal Lager, esprimesse stato d’animo di insofferenza, frustrazione, tensione, ma non di odio verso quel Popolo che di tanto orrore s’era macchiato. …”ero fra loro, nel campo di Agramante, fra il popolo dei Signori: ma gli uomini erano pochi, molti mutilati, molti vestiti di stracci come noi. “…erano sordi, ciechi e muti, asserragliati fra le loro rovine come in un fortilizio di sconoscenza voluta, ancora forti, ancora capaci di odio e disprezzo, ancora prigionieri dell’antico nodo di superbia e di colpa.”… Lo chiamai al telefono: mi rispose personalmente e come la persona più umile mi ascoltò come se fossi io quella importante, concedendomi tutto il tempo necessario, poi, con grande serenità , mi diede ogni risposta. Serbo il ricordo di un uomo grande, capace solo di amare. Dopo tutto, nonostante tutto, Primo Levi non conosceva l’odio.
Sapevo che le persecuzioni razziali avevano toccato dolorosamente anche le loro famiglie, ma le notizie mi giungevano frammentarie e concise, sempre a seguito di mie discrete sollecitazioni. Ogni volta, col ricordo, riappariva il dolore. Il dolore, forte, ma mai una parola di odio verso il popolo persecutore ed il popolo accondiscendente. Quando alla televisione venne trasmesso il film “Schindlers List” di Steven Spielberg, la Signora, all’indomani, con gli occhi arrossati mi confidò: “Sì, sì, fu proprio così. Anche noi respinti da tutti, non sapevamo più dove dirigerci!” Erano fieri della loro appartenenza alla Comunità Ebraica e sorridevano felici quando chiedevo loro qualche informazione sulle loro usanze, ma avevano un grande rispetto per la mia religione Cristiana Cattolica, anzi, erano proprio loro, e spesso solo loro, ad esprimere gli auguri, le felicitazioni, per le cerimonie cattoliche familiari, tanto da sorprendere la mia tiepida fede. Non mi era concesso di far loro una cortesia “gratuita”, ogni mio gesto mosso in loro favore veniva ricambiato, ricompensato al più presto, come se, per cultura innata, sentissero di dover essere pronti all’esodo, senza lasciare debito alcuno, senza aver ricompensato chi aveva loro indirizzato un sorriso. Ricordo il Signor Moses, anziano afflitto dal “morbo di Alzaimer”, in una fase in cui, ritornato all’infanzia, aveva ripreso a parlare solo Polacco, lui che conosceva l’italiano, il tedesco e l’ebraico, ravvivare lo sguardo e sorridere al mio saluto “Shalom, Signor W.. Shalom!” Ho nostalgia dei miei incontri con la Signora Sali, nel tinello a conversare del più e del meno. Sul mobile il candelabro a sette bracci. Sul muro un quadro dipinto da Herbert Pagani, ragazzino. Avrebbe desiderato scrivere le sue memorie: dopo essersi occupata dei genitori, dopo aver accudito i figli, dovette dedicarsi al marito ammalato. Ora riposano nel Cimitero Ebraico, dove tanti visitatori, sempre per quella cultura innata, anziché portare grandiosi mazzi di fiori, a testimonianza del loro passaggio, pongono sulle lapidi un sassolino. Shalom! Shalom! Dania.
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