DAL GRIDO DELL'ANIMA DELL'ARTISTA
TUTTO IL DOLORE DELL'UMANITA' MARTORIATA

Dania  * 25 giugno 2005 *  Torna indietro - Puoi premere ALT+I e INVIO  Chiudi la pagina web - Puoi premere ALT+X e INVIO (cultura-liberi pensieri)* Caratteri grandi-medi-normali * Accessibilità


Dal grido dell’anima dell’artista, tutto il dolore dell’umanità martoriata.

Come rimanere impassibili davanti all’immagine proposta dal dottor Gennachi? Impossibile fermarsi ad osservarla senza sentirsi sommergere da una marea di sensazioni e da un’infinità d’interrogativi.
A quale immane catastrofe si sarà ispirato l’artista? Al terremoto del Belice, del Friuli, dell’Irpinia o dell’Umbria? Oppure alla tragedia del Vajont o della Valle di Stava? O a quale altro terribile avvenimento? Poco importa: questa immagine può valere per l’una, o per l’altra, o per tutte le tragedie abbattutesi sulla terra, per le quali non esistono umane risposte.

E’ la tragedia dell’umanità che vedo rappresentata in questo gruppo scultoreo:

1) Là dove la catastrofe si abbatte, inaspettata, insospettata, trafiggendo dolorosamente le membra, grida lancinanti si perdono nell’aria;
2) L’incredulità e l’impotenza davanti allo scombussolamento degli eventi, che avviene sotto quello stesso cielo che poco prima appariva protettivo e sereno, trasfigurano i volti;
3) Che altro fare se non rassegnarsi e pregare, aggrappandosi all’ultimo brandello di fede, per giungere al “Fiat Voluntas Tua” con l’intimo, estremo, desiderio di riconciliazione col Padre?
4) Alla fine, quando la natura impazzita pare acquietarsi, madre coraggio-speranza, tende le braccia tra i disperati, per consolare, sostenere e risollevare, affinché ogni pur flebile anelito di vita possa ravvivarsi, riprendere forza e volontà, per dar modo alla luce di sopravvivere al buio della morte. La vita deve continuare!

Oltre alla tragedia umana, da questa scultura mi pare di veder scaturire tutta la fatica dell’artista, costretto dalla sua stessa sensibilità ad interiorizzare tutto, a far proprio il grande dolore per rielaborarlo e trasformarlo in immagini vive, da tramandare ai posteri.

Il dottor Gennachi non parla di paternità dell’opera. Né svela il luogo in cui sorge la stessa. Entrambe le informazioni dovrebbero essere d’obbligo: un’opera d’arte deve far capo al suo creatore, così come non può rimanere anonimo il luogo in cui è stata realizzata, perché ogni città, piccola o grande che sia, possa riconoscere ed andare fiera dei propri figli, possessori di tale capacità artistico-comunicativa.

Qualcuno ha detto che vorrebbe trasformare Veglie in “citta museo”. Personalmente preferirei venisse, più vivacemente, definito “città d’arte”, per cui non posso sperare altro che questa scultura faccia parte del suo patrimonio. L’interrogativo resta aperto.

dania

 

 

 

 

 

 

 

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