intervista a don arcangelo martina

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da: Veglieonline.it, luglio 2003 * "Interviste"

 

“INVESTIRE MOLTO IN FORMAZIONE/EDUCAZIONE
SOCIO-CULTURALE…"

 

E’ risaputo quante energie lei ha impegnato nell’organizzazione dinamica della nostra parrocchia del SS. Rosario in Veglie e quanto ha lavorato per la crescita spirituale, ecclesiale,  pastorale e socio-culturale dei vegliesi: i risultati li potremo notare meglio tra qualche anno.

La sua presenza in parrocchia ha dato e continua a dare sicurezza. Il sapere che lei andrà via, in quanto è stato nominato Parroco della Chiesa Madre di San Pancrazio Salentino, mette una certa agitazione e angoscia. Il ricorso alla Fede e la certezza che, comunque, nel futuro si potrà fare riferimento a lei, riescono a contenere il disagio entro i limiti del vivibile.

C’è un aspetto della sua presenza in Veglie che forse è stato sottovaluto, o comunque non evidenziato adeguatamente, ma non per questo meno importante per la crescita della nostra comunità. E’ la ricaduta laica e prettamente culturale e sociale del suo operato che noi vorremmo cercare di far emergere in quest’intervista. D’altronde, non penso che la pastorale possa essere scissa nettamente dall’impegno civico.

 

Non pensa che a Veglie le capacità intellettive cittadine siano sottovalutate e non utilizzate? (se si considera la buona solidità economica del paese e i pochi investimenti in cultura)

Si è vero, le risorse intellettuali sono usate a sprazzi; di solito secondo collocazioni di parte e per interessi diretti. Qualche volta si è tentato di mettere su qualche forma di laboratorio cittadino all’insegna della convergenza delle forze e collaborazione per obiettivi importanti per tutta la città, ma senza riuscirci, perlomeno in forma organica e permanente. Si è parlato di promozione politica, culturale e sociale; di formazione dei giovani ad essere la futura classe politica e i protagonisti di una nuova comunità cittadina e altre cose simili, ma a parte alcune lodevoli iniziative, non c’è stato un impianto e un’azione tali da raggiungere lo scopo. In questi ultimi anni, anzi, si ha l’impressione di un certo diffuso riflusso nel privato, appiattimento conformistico e disimpegno.  

 

Quale suggerimento darebbe per non mortificare le diverse energie intellettive del nostro paese?

Non ho ricette da dare, ma ritengo utile per tutti un atteggiamento di umiltà e di piena disponibilità e la voglia di conseguire obiettivi importanti per il bene comune della città. Su questa base possono reggersi i possibili progetti e le varie modalità operative. Finché si continuerà a schematizzare e a mantenere distanze secondo pregiudizi culturali e politici, come anche avere comportamenti da protagonismo ad oltranza aumentando la frammentazione non si raggiungerà  nessuna meta. Intanto prezioso sarà creare occasioni notevoli di crescita e di formazione culturale e sociale per i giovani e per tutti, come pure  lanciare ponti e tessere ragnatele a trecentosessanta gradi… senza mai arrendersi

 

Tra gli osservatori più critici e certamente non moderati della realtà vegliese, viene fatta quest’affermazione: “Veglie colonia di Brindisi”. E’ priva d’ogni fondamento o dobbiamo prenderne atto?

E in questo rapporto in cui l’ubbidienza è divenuta, col tempo, sottomissione, non pensa che debba essere presa qualche iniziativa se non da parte dei colonizzatori, almeno da parte dei colonizzati?

Colonia, sottomissione e ubbidienza penso siano parole inadatte. Preferisco: coerenza, comunione, cooperazione… Nonostante la globalizzazione sia ormai un dato di fatto e le interdipendenze siano determinanti ad altissima percentuale in tutte le realtà storiche; giocoforza, la periferia rimane periferia e la provincia rimane provincia. Ciò non vuol dire che sia impossibile innovare le concrete situazioni e promuovere una larga partecipazione e un confronto tra tutti. I tempi possono essere lunghi: occorre spingere con grande energia perché il rispetto,  il dialogo, la partecipazione attiva e la cooperazione funzionino adeguatamente per attuare scopi comuni, sia nella vita pastorale che in quella civile. Queste, secondo me, sono le cose da mettere in pratica. Cambiare capoluogo, cambiare forme istituzionali, cambiare autorità, ecc. non risolverebbero i predetti problemi: la storia ce lo insegna (compresa la storia della Chiesa).

 

Se dovesse tracciare delle linee guida d’impegno politico, sociale ed economico per la crescita della nostra Veglie, quali le priorità da considerare?

Ribadisco quello che ho detto prima, che possiamo sintetizzare così: investire molto in formazione/educazione socio-culturale e politica e in cooperazione organica e unitaria in vista di obiettivi importantissimi per il bene della comunità cittadina. Detto questo, io personalmente resto dell’avviso (ma così la pensano in molti: si veda la Lettera aperta ai politici  da noi pubblicata nel marzo 1997) che, specialmente a livello locale, l’azione politica deve fare cose molto concrete in tutte le direzioni, altrimenti chi deve farle? Per essere compreso bene invito a rileggere la appena citata Lettera, che per molti punti è rimasta di forte attualità.

Concludo dichiarando che la politica è una delle forme più alte e forti dell’amore verso il prossimo. Questo senso evangelico della politica deve essere il lievito nell’impegno pastorale dei cristiani e, ancor più, di coloro che hanno la vocazione politica.

 

a cura di: Simone Gennachi