IL PARTITO DEMOCRATICO A VEGLIE "S'HA DA FARE"?
di G. Caputo  * 23 maggio 2006 *  Torna indietro - Puoi premere ALT+I e INVIO  Chiudi la pagina web - Puoi premere ALT+X e INVIO (politica)* Caratteri grandi-medi-normali * Accessibilità


Il partito democratico a Veglie “s’ha da fare”?

Dopo l’elezioni del 10 e 11 Aprile, circa un mese fa, tentavo di articolare un’analisi del voto a Veglie, facendo notare ai dirigenti locali che si richiamano all’Ulivo, che ai 2004 cittadini, che avevano votato quel simbolo, con uno scarto in più di circa quattro punti sulla somma dei partiti che lo compongono, bisognava offrire un gruppo dirigente di riferimento, costituito in quel partito politico, di cui tanto si parla. E’ vero che il panorama nazionale non è incoraggiante, ma a chi giova non partecipare ai processi politici, che mirano alla costruzione di una grande forza riformista? Politici e politologi vegliesi non ritennero d’intervenire nel dibattito. Il voto era servito a vincere e questo era sufficiente. La volontà popolare, di andare verso la costruzione del Partito Democratico, poteva aspettare. In seguito, gli assetti istituzionali e la formazione del Governo hanno catturato l’attenzione e il dibattito di questo periodo.
Forse avevo anticipato i tempi.
Domenica 21 maggio, sulla prima pagina della “Repubblica”, Ilvo Diamanti riprende la discussione sulla costruzione del Partito Democratico. Nel pomeriggio, su Rai tre, L. Annunziata incalza l’On. Fassino sugli stessi argomenti: le dichiarazioni del segretario DS infuocano la polemica.
Compagnia lusinghiera. Se dicono “nemo profeta in patria”, qualche fondamento ci sarà.
Ma torniamo al testo del sociologo: “Le buone ragioni per realizzarlo in fretta sono evidenti a tutti. La prima è di evidenza statistica. Alle recenti elezioni, l’Ulivo ha totalizzato alla Camera, il 3% in più rispetto ai DS e Margherita, che al Senato si sono presentati da soli.” E poi continuando: “Il vantaggio elettorale offerto dall’Ulivo non è casuale. Riflette una domanda di unità e di partecipazione molto diffusa tra gli elettori di centro-sinistra. Emersa in tutte le precedenti elezioni politiche. Resa esplicita dalla eccezionale affluenza alle primarie dello scorso ottobre. Il che suggerisce una seconda ragione per accelerare la costruzione del Partito Democratico. Rafforzare il legame fra politica e società, fra partiti e territorio. Fondamentale per il centro-sinistra.”
L’articolo continua e prima sostiene che la nascita del PD fa guadagnare voti, propone un partito di dimensioni europee, contribuisce a saldare i rapporti tra centro e periferia, dà radici più salde al Governo, e poi si sofferma sulla costruzione del progetto. “Su “chi” e “come” deve promuovere il PD? Il centro o la periferia? I partiti o la società civile? “Come”? Attraverso un percorso guidato dalle segreterie? Oppure dai movimenti, dai circoli, dai comitati”?
Si tratta di un’alternativa sterile che non porta da nessuna parte, rimane da concludere allo studioso. “Le leadership dei partiti, lasciate sole, tenderanno inevitabilmente ad attuare strategie di dilazione e diluizione. Per istinto di sopravvivenza. Perché a nessuno è dato di accelerare la propria estinzione. Ma chi si richiama alla forza etica e profetica della “società civile”, in realtà, coinvolge e rappresenta solo cerchie ristrette, per quanto attive della società. Ne esclude le componenti meno “militanti”, ma, per questo, più “rappresentative” del territorio e degli elettori.” Ma allora, se i partiti tendono a rinviare e la cosiddetta società civile è politicamente minoritaria, chi deve farsi carico della costruzione di questo nuovo partito? Secondo Diamanti devono essere i soggetti che stanno nel mezzo. “Fra Roma e la periferia. Fra il governo e i cittadini. Fra le segreterie dei partiti e gli elettori”. Devono essere i Sindaci, i Presidenti di Provincia e di Regione a dover promuovere la costruzione del PD, magari insieme ai leader dei partiti. “Ma subito. Se vogliono che questo progetto mantenga un minimo di credibilità. Perché il tempo è scaduto”. Questo è quanto, ma a Veglie si continua a parlare d’altro.

Giovanni Caputo